lunedì 24 marzo 2014

EPISODIO 1 - PILOT


Il caso Shaw

[di Stefano Mazzoni]




La giornata si stava dimostrando fiacca. Hurt, chiuso nel suo ufficio al terzo piano, si sistemò un ciuffo dietro l'orecchio e afferrò la pistola. La smontò e iniziò a pulirla, come gli era stato insegnato molti anni prima, nell'esercito; quell'atto meccanico, che pur aveva ripetuto molte volte, lo aiutava a distrarsi. I suoi pallidi occhi azzurri seguivano con attenzione i movimenti delle mani. Versò qualche goccia di lubrificante nella canna e iniziò a strofinarla con uno scovolo. Dopo una decina di scovolate alzò la canna verso la lampada e controllò fosse pulita; quindi raccolse uno stiletto con attaccata una pezza di cotone e si preparò a tamponarla.
Una spia brillò sul telefono dell'ufficio. Hurt posò la pistola e pigiò un bottone. La voce della segretaria, Miss Lovelace, gli giunse, appena un tantino metallica, dall'altra stanza: se avesse attaccato il telefono avrebbe potuto sentire direttamente quello che diceva.
"C'è un cliente" disse. "È un po' strano, ma sembra a posto. Lo faccio passare?"
"Certo" disse Hurt. Si sbrigò ad infilare la pistola in un cassetto e si dette un'aria impegnata, aggrottando la fronte e studiando con occhi socchiusi i risultati delle gare all'ippodromo. Cose che supponeva facessero gli altri detective.
La porta si aprì e apparve un uomo alto, leggermente stempiato, con il volto di un pallore cadaverico, che si avvicinò a passo claudicante alla scrivania. "P-piacere, mi chiamo J-J-James Shaw" si presentò, ma non tese la mano.
Hurt lo studiò un attimo, e all'improvviso capì cosa c'era che non andava in lui. Si dava il caso che quell'uomo camminasse all'indietro. Quando si muoveva le gambe non si piegavano all'altezza delle ginocchia, e i suoi piedi puntavano nella direzione sbagliata. Le spalle tendevano all'indietro, come fossero cascanti verso le scapole. Il torace non era tondo né piatto, ma aveva la curva leggera delle schiene scoliotiche.
Hurt spalancò la bocca. Il volto di James lo fissava dritto in faccia. Dette uno sguardo al suo collo: la pelle era tirata in pieghe oblique, e un paio di bozzoli facevano bella mostra di sé sul lato sinistro... destro... della gola. Aveva il collo rotto e la faccia girata di centottanta gradi.
"Vuole sedersi?" chiese Hurt, indicando con gesto vago la sedia davanti alla scrivania.  
James scrollò... oscillò la testa a destra e a sinistra in segno di diniego. "Preferisco stare in piedi. E-e-è lei Jack Hurt?"
"È il nome sulle bollette" disse il detective.
"Spero non... spero non... spero non si lasci impressionare dal fa-fa-fatto che sono morto" balbettò James, quasi si vergognasse del suo stato.
"Be', lei non è il primo che vedo" provò a confortarlo Hurt, "anche se di solito sono orizzontali".
James sembrò arrossire, o forse erano solo i fluidi corporei che gli risalivano le guance.
"Perché non mi dice cosa l'ha portata qui?"
"Ho b-bisogno che lei ritrovi una cosa per me. I-il mio cuore".
Hurt aggrottò le sopracciglia. "Per questo è morto? Perché le hanno tolto il cuore?"
James lo fissò, con espressione stupita. "Non sia r-ridicolo. So-sono morto perché una macchina mi ha investito e mi ha r-rotto il collo".
"Già, ha ragione" ammise Hurt. Afferrò il pacchetto di sigarette sulla scrivania e glielo porse.
"G-grazie, ma in questo periodo ho qualche problema coi polmoni".
Il detective si strinse nelle spalle. "Allora... mi vuole dire come ha perso il suo cuore?"
"Oh, è s-semplice" disse James. "Il g-giorno della m-mia morte, ero in questo bar. E ho in-in-incontrato questa ragazza e... Be', ci siamo messi a parlare. Fu lei ad attaccar bottone, a dire il vero. E po-poi ci siamo baciati. N-non mi era ma-mai successo. Mi sono i-innamorato". Un sorrisetto compiaciuto si dipinse sul volto sghembo del morto.
Hurt pensò di aver capito dove fosse il problema. "E così le ha fatto dono del suo cuore" disse. "Un po' insolito, per quelli della nostra razza. Dovrebbe essere solo una metafora".
"Già e... lei sa, immagina, nell'Aldilà... nel D-Duaat..." bofonchiò James, come se non sapesse bene da dove iniziare.
"Senza il cuore non può sottoporsi alla prova della piuma di Maat ed essere ammesso nell'Aaru".
James tentò di annuire ma, non riuscendo a muovere il collo, sporse leggermente da dietro la mano e alzò il pollice. "P-precisamente. Sarò condannato nel Duaat, a meno che non venga giudicato degno".
Hurt si piegò sulla poltrona e poggiò i piedi sulla scrivania, con fare meditabondo.
"Bene. Allora vada da lei e si riprenda il cuore. È facile. Certe cose tendono a tornare al loro posto".
"Non posso!" singhiozzò James. Solo che, avendo la trachea spostata, gli uscì un suono come di un uomo che stesse soffocando. "Non ricordo il suo nome. È andato perso nell'in-incidente. E in questo stato non posso ce-cercarla: ho bisogno di una mano. U-una mano umana". Si infilò un paio di dita in tasca ed estrasse una manciata di pezzi da cinquanta. "Posso pagarla!" disse.
Alla vista dei soldi l'investigatore piegò la testa e batté le mani compiaciuto. "Caso accettato" disse. Poi, prima di alzarsi: "Solo una cosa non mi è chiara: saranno quasi duemila anni che nessuno è più sottoposto alla prova della piuma, e lei di certo non è di origine egizia. Cosa le è venuto in mente?"
James si strinse nelle spalle. "In vita ero un neopagano. E-ero fedele a Thoth. Credevo sa-sarebbe stato divertente".

Una Thunderbird del '97 era parcheggiata fuori dal bar dove James, qualche giorno prima, aveva incontrato la ragazza in questione. 
Il morto aspettava in auto che Hurt tornasse. Aveva il braccio piegato in maniera innaturale e batteva il tempo sul cruscotto. Ci impiegò un poco a riconoscere la canzone: Lily, Rosemary and the Jack of Hearts di Dylan.
Si domandò se il barista ricordasse la ragazza. Era la sua ultima speranza. Si chiese se avrebbe fatto in tempo a trovare il suo cuore prima che... Si chiese quanto tempo ci voleva perché un corpo iniziasse a decomporsi, anche se aveva un'anima dentro. In fondo il suo cuore non pompava più. Se chiudeva gli occhi poteva sentire i batteri dentro di lui compiere il loro lento lavoro.
Hurt aprì la portiera dal lato del conducente. Non entrò, ma si piegò in avanti per guardare James.
"L-l'hai trovata?" chiese il morto in tono speranzoso.
"So chi è" disse Hurt. "E so dov'è. Ti ci porto". Voleva aggiungere qualcosa, ma sospirò e stette in silenzio. Fece per salire in macchina quando all'improvviso si bloccò. Si tirò dritto, guardando a destra e a sinistra, e annusò l'aria. I peli sul suo corpo si erano rizzati tutti insieme. Sbatté un paio di volte le palpebre e si rivolse a James, sempre tenendo d'occhio l'orizzonte.
"James, mi chiedevo... come hai convinto gli dèi a lasciarti uscire dal Duaat?"
James stropicciò il volto in un'espressione colpevole. "Non ti ho ma-mai detto che mi hanno la-lasciato andare" precisò.
"Bene” disse il detective in tono monocorde. “Voglio che tu ti concentri. Sei scappato?"
James certo non provò a negarlo. "Dovevo!" disse, in tono di scusa. "Per ri-ritrovare il mio c-c-cuore".
Hurt non disse nulla. Salì in fretta in macchina e richiuse di scatto la portiera. Infilò la chiave nel pannello d'accensione, poi i due sentirono una vibrazione. Forte. E un'altra. Hurt si sporse, ma non vide nessuno per strada. Girò la chiave e dette gas.
"Merda" disse, mentre la T-bird sgommava in mezzo alla carreggiata.
"Woo, cowboy!" disse James, cercando di afferrare la maniglia della portiera. "V-vai più piano! Sei fortunato che non ci sia n-nessuno per strada!" Poi "P-perché non c'è nessuno per strada?" chiese.
Hurt ignorò la domanda. "Ti hanno mandato qualcosa dietro" disse. "Per riportarti nel Duaat. Avresti dovuto pensarci".
"C-cosa?" chiese James, girando quanto poteva la testa.
"Qualcosa di grosso". 
Un'altra vibrazione, come una scossa di terremoto, fece sobbalzare l'auto, e Hurt sterzò in una via a senso unico. James stava per dirgli qualcosa quando si ricordò che non c'erano altre macchine.
"L'Ammit" disse Hurt.
Il morto strabuzzò gli occhi e si sentì gelare. "Il Divoratore?"
Hurt non rispose e tagliò per il marciapiede.
"Dove stiamo andando?" chiese James, cercando di sovrastare il rumore del motore.
"A trovare il tuo cuore. Quando l'avrai tornerai nel Duaat e dimostrerai la tua innocenza. Spero che allora l'Ammit ti segua".
"E cosa succede se non riesco a..." cominciò James, ma un pezzo di grattacielo piombò sulla strada e costrinse Hurt a sterzare. Un'ombra li ricoprì per un attimo, ma James non fece in tempo a vedere cosa la stesse proiettando. Puntarono a un incrocio, poi in una via laterale, sperando di seminarlo. La terra tremò. Sbandarono per evitare un'impronta di ippopotamo. A quel punto James pensò lo avessero distanziato, ma da dietro un edificio spuntò la sagoma del Divoratore.
Era grosso come un palazzo di tre piani, e lungo quanto due autobus. Girò il suo enorme muso di coccodrillo incorniciato da una folta criniera, spalancò le fauci e ruggì, e il caldo fetore delle paludi del Basso Egitto rischiò di soffocarli entrambi. Con un'enorme zampa di leonessa cercò di ghermire la loro macchina, ma Hurt fu svelto a schivarla e, passando sotto le sue zampe - quelle anteriori di leonessa, quelle posteriori di ippopotamo - gli sgusciò alle spalle e continuò la corsa. Il Divoratore ruggì di frustrazione e cercò di girarsi: le sue natiche colpirono un grattacielo, raschiando via parte degli uffici e causando un crollo interno nella struttura. Le rovine rimbalzarono sulla sua pelle e caddero sulla strada.
L'Ammit partì alla caccia.
"Più veloce, più veloce!" gridò James senza più balbettare.
"Sto facendo del mio meglio" rispose il detective pigiando fino in fondo l'acceleratore.
Il Divoratore li sorpassò in quattro balzi, si girò e spalancò le fauci. Hurt sterzò, faticando a mantenere la presa sulla strada; ma il Divoratore sporse una zampa e colpì la fiancata della macchina. La T-bird finì in testacoda e si fermò dopo alcuni metri davanti a una porta automatica. Hurt spinse James fuori dalla macchina e rotolò via pochi secondi prima che il Divoratore la schiacciasse con la sua zampa. Afferrò il suo cliente per la collottola e lo guidò oltre la porta automatica, urlando.
Dentro tutti li stavano fissando. James continuò a urlare per un po', prima che Hurt lo colpisse e richiamasse la sua attenzione sul posto in cui erano finiti. Era un ospedale, con infermieri preoccupati e malati in vestaglia o sulla sedia a rotelle che li squadravano sorpresi.
Un degente con le cuffie nelle orecchie li superò e fece per uscire. James tentò di afferrarlo, ma a un segno di Hurt rimase fermo. Guardò fuori: c'erano persone e medici, e persino la Thunderbird intatta, ma nessun segno del Divoratore. Si girò verso Hurt per chiedere spiegazioni, ma quello si era già allontanato verso il banco delle informazioni.
"Scusi, qual è la camera della signorina Snow?" chiese all'infermiera di turno.
In quel momento James ricordò: ricordò che la ragazza di cui si era innamorato portava i capelli biondi tagliati corti e aveva gli occhi verdi; ricordò che sorrideva poco, quasi con imbarazzo, ma che quando lo faceva sembrava irradiare uno strano calore tutt'attorno. Infine ricordò che si chiamava Marie Snow e che studiava per diventare avvocato. Ricordò ogni cosa e fece per dirlo ad Hurt, ma il detective era tutto concentrato sull'infermiera.
Quella lo stava fissando indecisa, come se non si fidasse del tutto a dare informazioni a chi era entrato in ospedale urlando; ma poi qualcosa mutò sul suo volto, sorrise e gli indicò il reparto e la stanza.
"Grazie" disse il detective, e i due si incamminarono.

"Non può raggiungerci qui. L'Ammit, dico" disse Hurt, per riempire il silenzio dell’ascensore.
"Perché no?"
"Ci sono dei patti da rispettare. Questo luogo appartiene a Thoth e a Ermes, a Iside e ad Asclepio e ad Apollo. È un luogo sacro, un luogo di cura. Qui hai tutto il tempo per fare quello che sei venuto a fare".
James chiese ad Hurt perché Marie si trovasse lì. "Le è successo qualcosa?" disse.
Il detective si strinse nelle spalle e lo invitò a seguirlo fuori dall'ascensore. James dette uno sguardo fuori dalla finestra e vide che in città non c'erano segni del passaggio del Divoratore.
Hurt si fermò e fece un cenno verso una stanza. James lo precedette all'interno... vide Marie, la sua Marie, stesa su un letto, collegata a un respiratore e a macchine che monitoravano i suoi segni vitali.
"Quella sera... Marie è uscita di carreggiata" disse Hurt a mezza voce. "Aveva sterzato, ma era troppo tardi. Aveva investito un uomo che è morto prima di raggiungere l'ospedale".
James capì e la fissò.
"Credo tu possa riprendere il tuo cuore" disse Hurt. Si girò e chiuse la porta, poi ci si poggiò contro per impedire che qualcuno li interrompesse.
James, zoppicando, si avvicinò al corpo di Marie. Fece fatica a piegarsi su di lei. La donna aveva i capelli scomposti, sporchi, con la ricrescita perfettamente visibile. Per un attimo esitò, poi le sfiorò le labbra con le sue. "Ti perdono" disse. "So che non l'hai fatto apposta".
Alzò lo sguardo su Hurt.
"Grazie, J-Jack" disse, mentre il suo cadavere perdeva di consistenza. "Sei stato un amico. Forse ci rivedremo nell'Aaru". Scomparve del tutto a un cenno di Hurt, lasciando a terra solo un mucchio di banconote. Il detective si avvicinò e le raccolse in silenzio.
"Una normale giornata di lavoro" disse a Marie, scrollando le spalle, e si accese una sigaretta. Poi, ricordando di trovarsi in un ospedale, la spense e la gettò dalla finestra.

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