lunedì 23 giugno 2014

EPISODIO 14


Fine dei giochi

[di Stefano Mazzoni]




La sveglia suonò, e Billy aprì gli occhi con l'orribile pensiero che era già ora di alzarsi. Era inverno, fuori faceva freddo, e nel letto c’era quel bel tepore che si conquista a fatica e che dispiace sempre abbandonare. 
Con le mani tenne ferme le coperte e si rivoltò dall’altra parte, sperando che gli fosse concesso ancora un po’ di tempo prima dell'inizio della giornata. Non troppo: quello necessario ad accettare l'idea di doversi alzare. Ma in quel momento qualcuno chiamò il suo nome dall'altra stanza. Sospirò e scostò le coperte tutto d’un fiato, sperando che questo potesse servirgli per svegliarsi del tutto, e rabbrividendo si infilò le calze e le pantofole. 
Si accorse di dove si trovava. Quella era la camera da letto di quando ancora viveva con i suoi genitori, e non la stanza che gli aveva messo a disposizione l’Episcopo. Confuso e ammutolito, abbassò la maniglia della porta e sgusciò in corridoio. Non sapendo cosa fare andò in cucina. Lì una donna dai capelli scuri stava facendo scaldare qualcosa in un pentolino.
“Mamma” la chiamò Billy con un filo di voce. Gli occhi spalancati, le corse incontro e l’abbracciò baciandole la schiena.
“Che hai stamattina?” chiese lei. Poi, dopo averlo osservato per un attimo, “Fa freddo, mettiti il maglione”.
Billy non la ascoltava. Si limitava a stringerla, in lacrime, cercando di capire cosa fosse successo. Alzò il volto, che fino ad allora aveva tenuto premuto contro la sua vestaglia, per guardare il suo. Era lì, concreta, e di questo non poteva dubitare.
All'improvviso vide un'ombra con la coda dell’occhio. Si girò verso la finestra. Qualcosa di viscido, con dei tentacoli forse, stava attraversando la parete a est del condominio. In quel momento le ventose si attaccarono al loro vetro, si staccarono con uno schiocco e con un movimento fluido sparirono alla vista.
Billy riportò lo sguardo sulla madre, che continuava a sorridergli. Ma quel riso era tirato, fisso, e Billy capì che stava nascondendo qualcosa.

Ieri.
Due membri della Sequenza scortavano un uomo incappucciato in un piccolo condominio nella periferia della città. Uno dei due, il Secondo, colpì il loro prigioniero all’altezza delle ginocchia; quello, che già aveva le mani legate dietro la schiena, crollò sul pavimento. 
Facendo scivolare una gamba sotto l’inguine e spingendo, il prigioniero riuscì a inginocchiarsi. Il Terzo allora afferrò il suo cappuccio e lo sollevò. Poi si abbassò su di lui, sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
“Quando hai scelto il tuo nome, Hurt, sapevi che sarebbe finita così?" chiese. "Nelle urla e nel dolore?”
Hurt si guardò attorno. La camera era lunga, pitturata di bianco, e a un’estremità aveva una cassa di legno chiusa con un lucchetto. Oltre a lui nella stanza c’erano altre sette persone, tutti i membri della Sequenza.
Il Settimo gli si parò davanti a gambe larghe, le mani a pugno appoggiate sui fianchi.
“Ecco il grande detective. Catturato come l'ultimo dei novellini”.
Hurt sputò a terra un grumo di sangue e sentì l’occhio sinistro che gli si gonfiava. La gola gli andava a fuoco e non riusciva più a deglutire.
“Dov’è Daniel?” chiese.
Nella mano destra, ripiegata sulla spalla, il Quarto teneva un sacco di juta. Lo rovesciò sul pavimento e Daniel scivolò fuori, col pelo ricoperto di sangue incrostato.
Il Quarto si chinò su di lui, accovacciato sui polpacci, e lo accarezzò tra le orecchie. Poi con l’altra  mano estrasse una Beretta e, senza cambiare espressione, gli sparò alla nuca, facendo schizzare pezzi di cervello su tutto il pavimento.
“Figli di puttana!” urlò Hurt, cercando di rimettersi in piedi.
Il Terzo lo colpì con un calcio. Hurt si piegò in avanti, senza fiato, forse con una costola rotta; poi rialzò lo sguardo sul Settimo, imponendosi di non piangere.
“Mi volete uccidere?” 
“Anche”.
Il Secondo tagliò la corda che teneva legati i polsi di Hurt. Il detective lo fissò dubbioso e si rimise in piedi, massaggiandosi i polsi per aiutare la circolazione.
Il Sesto, dall’altra parte della stanza, estrasse la Colt Python di Hurt.
“Non sei un granché senza questa, vero?” 
“E senza la tua mano fantasma” aggiunse il Settimo. “L’abbiamo sigillata appena ti abbiamo preso”.
Hurt sollevò e studiò la sua mano destra: gli parve pesante come pietra, e non riuscì ad aprirla. Sul dorso le era stato tracciato un simbolo che pareva una semplice runa di utilizzo spezzata.
“Cosa volete da me?”
"Sei stato giudicato dai Reges Mundi e dall'Antipapa dell'Alveare per crimini contro la Totalità" disse il Primo da un angolo della stanza, in tono forte e chiaro. "Sei stato dichiarato colpevole e condannato".
I sette si fecero da parte, disponendosi a cerchio attorno a lui. La cassa di legno era uno dei punti della circonferenza. Il Quarto le si avvicinò, armeggiando con una chiave e sfilando il lucchetto, poi dette una botta al lato aperto spalancandolo completamente.
“Cosa c’è lì dentro?” chiese Hurt.
“La fine dei giochi”.
Qualcosa uscì dalla cassa. Era alto circa due metri, marroncino, con un muso lungo irto di zanne e il corpo a scaglie. Non aveva arti anteriori, e sembrava incerto su quelli posteriori. Una coda muscolosa bilanciava il peso della testa, e la creatura rimaneva così piegata in avanti.
“È un negadonte” disse il Settimo sorridendo.
“È impossibile. Sono tutti estinti”.
“In questa dimensione. Ma di recente, come saprai, grazie a te l’Alveare ha acquisito sia un portale dimensionale che un potente alleato”.
Hurt strinse i denti. Rimase impassibile, fantasticando che il negadonte non potesse vederlo. 
“Quello che state per fare non funzionerà” li avvertì il detective. “È solo un altro trucco”.
Il Settimo sorrise. “Jack, tu più di tutti dovresti sapere che la magia è sempre un trucco”. Alzò il braccio e lo abbassò: il negadonte, che fino a quel momento era rimasto immobile, sbatté le palpebre e digrignò i denti, e i suoi occhi diventarono simili a due fessure sanguinolente mentre metteva a fuoco la preda.
“Merda”.
Il mostro lo caricò a testa bassa, ma Hurt scartò e corse dall’altra parte della stanza. In fondo, pensò, non sarebbe stato più difficile che abbattere un troll.
Davanti a sé vide il Sesto con in mano la pistola. Corse verso di lui, ma lui sorrise, abbassò l’arma e gli sparò al polpaccio. Hurt ebbe come l'impressione di essere inciampato e cadde in ginocchio. Tentò di alzarsi, ma sentì il sangue scorrergli sui pantaloni. Finalmente arrivò anche il dolore, e Hurt urlò.
Il negadonte si stava avvicinando, guardingo, spaventato dal rumore dello scoppio; ma non ci sarebbe voluto molto prima che riprendesse fiducia e lo attaccasse. Tuttavia… forse c’era ancora una possibilità.
Hurt si concentrò, agganciando il mostro in una morsa psichica, poi spinse la sua coscienza fuori dal corpo fino in città, verso la periferia, in una casa tinta di bianco. Ecco l’Episcopo, seduto sul suo divano a leggere un libro. Hurt gli si avvicinò e cercò di spingere le dita nella sua mente, perché almeno lui potesse sapere…
Ma fu respinto. L’Episcopo era schermato da ogni tipo di intrusione. Tuttavia era tardi per trovare qualcun altro; Hurt si aggirò a vuoto per la casa, cercando di farsi venire in mente un'idea.
All’improvviso percepì una seconda presenza. Attraversò il soffitto per idnagare... e trovò Billy.

Oggi.
Billy scese dal bus, attraversò la strada e seguì la linea ferroviaria che si dirigeva verso la periferia della città. Rientrò nel traffico, superò un paio di isolati e si ritrovò davanti alla casa dell'Episcopo. Pareva strana vista così, dall'esterno, con l'intonaco tutto scrostato, le porte e le finestre sigillate e l'erba alta in giardino.
Billy saltò la staccionata e atterrò in mezzo alle erbacce, e sospirando si diresse verso la veranda. Una delle assi che teneva chiusa la porta stava per saltar via. Billy la afferrò con entrambe le mani, puntò i piedi e tirò finché non la svelse. Quindi si piegò e, stando attento ai chiodi sporgenti, strisciò all'interno. Provò a far scattare l’interruttore della luce, ma l’atrio rimase al buio: dovevano aver staccato l’elettricità. La giornata era limpida, comunque, e i raggi di sole che si intrufolavano dalle finestre bastavano a illuminare l’interno. Eppure il silenzio della casa, la polvere e quella luce intermittente gli mettevano i brividi.
Avanzò fino in sala da pranzo e vide che era vuota. In cucina rimanevano appena le allacciature del gas. Pensò di salire di sopra, ma alcuni dei gradini erano crollati e non si fidò a percorrere le scale.
All’improvviso sentì un rumore, qualcosa che si aggirava per il giardino. Col cuore in gola si avvicinò alla parete accanto alla finestra, si sporse e vide una grossa bestia pelosa che si guardava attorno: era gialla, più alta di un uomo, e la maggior parte del suo corpo era occupata da due grosse fauci sbavanti. Aveva piccoli arti anteriori che annaspavano come scossi da convulsioni, e quelli posteriori le crescevano a metà del corpo, dove sarebbe dovuto esserci lo sterno.
Due piccole antenne verdi gli pendevano dalla fronte. All’improvviso cominciarono a vibrare, e la bestia alzò gli occhi nella sua direzione.
Billy represse a stento un urlo e si gettò sul pavimento. Strisciò nella polvere fino a nascondersi dietro la porta. Appena in tempo: le assi che bloccavano l’entrata saltarono e un basso ringhio avvertì il bambino che la bestia era entrata in casa.
Billy alzò gli occhi da terra e si costrinse a guardare sopra uno dei cardini, in quello spazio che scompare quando le porte sono chiuse. La bestia avanzò di qualche passo, strusciando l’immensa mole contro le pareti dell’atrio. Si fermò davanti a Billy, tentennando; poi continuò in direzione della sala.
Il bambino tirò un sospiro di sollievo, si fece coraggio e aprì la porta, accompagnandola in modo che non cigolasse, e uscì dalla stanza per correre in giardino.
Un urlo bestiale lo avvertì che l’animale si era accorto di lui. Billy sperò che con quelle zampe gli sarebbe stato difficile corrergli dietro. Accelerò, uscendo dal giardino, attraversò la strada senza guardare e si infilò in un dedalo di vie in cui il mostro avrebbe fatto fatica a seguirlo. Continuava a ripetersi che doveva trovare aiuto.
Un colpo fece vibrare il vicolo: Billy si girò e vide il mostro che cercava di infilarcisi dentro. Lo fissava con occhi colmi d'odio; ringhiava e sbavava, e le antenne vibravano con forza. Billy deglutì e si costrinse ad andare avanti: girò a destra, poi a sinistra, sempre correndo. Ogni volta che trovava una porta suonava il campanello e gridava, ma nessuno gli rispondeva. Una volta sorprese delle persone a scrutarlo da una finestra. Sentiva il mostro corrergli dietro, e gli pareva che continuasse a guadagnare terreno, ma non osava voltarsi per controllare.
Proprio quando il fiato cominciava a mancargli una mano uscì da un vicolo e lo afferrò per la collottola. Billy era troppo stanco per gridare. La persona che lo aveva acciuffato stava accovacciata davanti a lui, e gettava sguardi preoccupati sopra la sua spalla; alzò la mano e tese l’indice e il medio, poi tracciò uno strano simbolo a mezz'aria.
“Perché ti stava dietro, quel coso?” chiese.
L’uomo aveva una zazzera di capelli unti e rossi e indossava una tunica macchiata. Gli mancava un orecchio, e una cicatrice gli partiva dalla guancia destra e gli correva fino al collo. Billy spalancò gli occhi, ma inaspettatamente il mostro che gli stava dietro svoltò prima di raggiungerlo e scomparve nel labirinto di stradine.
“Non so. Stavo cercando qualcuno che abita nelle case dall’altra parte della strada”.
“Lì è dalla Guerra Breve che non ci vive più nessuno”.
A Billy parve di essere sul punto di scoppiare a piangere. Invece si protese in avanti e si aggrappò al braccio del mago.
“Mi aiuti, signore!”
Egli si liberò dalla stretta. “Ho già abbastanza guai per conto mio”.
“Devo trovare aiuto. C’è qualcosa che non va, qui” provò a spiegare Billy. “Devo…" poi, colto da un'improvvisa illuminazione, scattò in piedi e "Devo trovare il signor Hurt!” disse.
Il mago corrugò la fronte. “Chi?”
“Un detective! So che ha un ufficio in centro, ma…”
“Il centro non esiste più” disse il mago. “Cinque anni fa l'ha distrutto la Cittadella”.
Billy ricadde all’indietro.
“Allora non so che fare” disse.
“Torna a casa” gli consigliò il mago. “Il mio incantesimo ti nasconderà per un po’, ma non è eterno. Vai dai tuoi genitori e mantieni un basso profilo. Persino l’Alveare ha di meglio da fare che dar la caccia a un bambino”.
“No. C’è qualcosa di sbagliato qui. E poi... io sono orfano”.
“Mi spiace”. Il mago lo guardò, impietosito, e infine gli mise una mano sulla spalla. “Dimmi, che genere di aiuto avevi in mente?”
“Magico” disse Billy a mezza voce.
Il mago sollevò un sopracciglio, ma alla fine si strinse nelle spalle. Si infilò una mano sotto la tunica e porse qualcosa a Billy. Era un biglietto da visita.
“Dicono che sei hai un problema con l’Alveare, è a lui che ti devi rivolgere”.
Billy gettò un’occhiata al biglietto, lo afferrò e lo strinse nel pugno.
“Grazie, signore”. Si frugò nelle tasche ed estrasse qualche moneta. Il mago le accettò e chinò la testa in segno di ringraziamento.
Billy riguardò il cartoncino beige che teneva in mano. Sul biglietto era stampato un indirizzo non troppo distante da dove si trovava lui, e sull'altro lato una singola frase in linea continua.
Instant Karma Investigazioni - diceva. Banco dei pegni di Fat Jim sede provvisoria.

La porta si aprì, facendo scattare il campanello. Fat Jim alzò gli occhi dalla rivista porno sul bancone e immediatamente si adombrò.
"Che ci fai qui? Non vendiamo giocattoli".
Il bambino si fece avanti fissandolo con occhi spalancati.
"Be', cosa vuoi?"
Evidentemente era troppo agitato per rispondere, quindi mise un biglietto da visita sul bancone. Jim gli dette un'occhiata e sbuffò.
"Detective!" urlò. "Hai un cliente".
"Arrivo".
Un uomo si fece avanti scostando la tenda di perline, si guardò attorno e vide il bambino che tremava. Gli prese le spalle tra le mani e gliele premette con aria confortante. "Cosa succede?"
"Mi deve aiutare, signore" disse il bambino. "Sto cercando Jack Hurt, ma..."
"Calmati". Il detective sorrise. "Qui sei al sicuro. Fidati di me" aggiunse, tendendogli la mano. "Sono un dottore".
Il bambino deglutì e gliela strinse.
"Mi puoi chiamare Ethan... Ethan King".
"Billy... William" si presentò il bambino.
"Che bel nome". Il detective si alzò e si appoggiò con noncuranza al bancone. Jim spostò gli occhi su di lui, in segno di disapprovazione - poi sprofondò di nuovo nella sua lettura.
"Cosa posso fare per te, Billy?" 
Billy lo fissò per un attimo in silenzio. "Stamattina mi sono svegliato" disse rapidamente "e il mondo era tutto sbagliato... Ero a casa mia, la mia vecchia casa, e non a casa dell'Episcopo, e comunque l'Episcopo non abita più a casa sua, l'altra casa... E quando il mostro mi ha attaccato sono venuto qui perché quel mago sporco mi ha dato il suo biglietto da visita, e mi aspettavo Jack perché questa è la Instant Karma ma non c'è e io non so più cosa sia andato storto oggi". Si zittì e riprese fiato, poi guardò speranzoso il detective.
King sollevò l'indice, lo riabbassò e corrugò la fronte.
"Evidentemente sei in stato di shock" disse. "Ma mi pare di capire che qualcosa ti abbia attaccato. È corretto questo?"
Billy annuì. King si chinò su di lui e gli mise una mano sulla fronte.
"Se me lo permetti, Billy, potrei attingere direttamente dai tuoi ricordi. Così mi aiuteresti a capire".
Billy strinse le labbra ma annuì di nuovo. King sorrise, rassicurante, e chiuse gli occhi. Dopo un attimo iniziò a tremare, aprì le palpebre e rovesciò le pupille all'indietro, poi, mentre il tremore aumentava, la mano scattò e venne proiettata da una forza misteriosa contro il bancone.
Jim si sporse in avanti e scrutò il dottore, che graffiava l'aria muovendo scoordinatamente le braccia.
"Che cosa gli hai fatto?" chiese, spostando lo sguardo torvo sul bambino.
"N-niente..." disse Billy.
King si accasciò sul pavimento. Spalancò gli occhi e fissò Billy per un attimo. 
"Cos'era... cos'era quello?" Afferrò i bordi del bancone e si rimise in piedi. "Un mondo senza Alveare?" chiese. "Un mondo senza Alveare?"
Il bambino si strinse nelle spalle. "È così che lo ricordo. È questo mondo ad essere sbagliato".
King scrutò attorno il negozio, boccheggiante. Provò a dire qualcosa a Jim, ma guardandolo capì che non sarebbe servito a nulla. All'improvviso si risistemò la camicia,  si rivolse al bambino e gli sorrise.
"Accetto il caso" disse. "Gratis, s'intende".
Fece il giro del bancone, spostò Jim con una gomitata e aprì il cassetto, quindi estrasse una vecchia Smith&Wesson e se la ficcò in tasca.
"Potrebbe servire" disse, in tono truce, e invitò il bambino a seguirlo fuori dal negozio.

Nel cielo volteggiavano piccoli globi oculari muniti di ali. Quando li vide King si fermò, poi spinse Billy più in fretta verso la macchina.
"Cosa sono?" chiese il bambino.
"Spie dell'Alveare" disse King. La Chevrolet fece le fusa e si mise in moto. "Se appena hanno idea di chi tu sia saranno usciti a cercarti".
"Perché mi cercano? Cosa ho fatto?"
King gli lanciò un'occhiata preoccupata dal sedile del guidatore. "Ti cercano perché sei il bambino più importante del mondo. Quindi vedi di allacciarti bene la cintura".
Billy annuì, con lo sguardo stranamente fisso. "Dove stiamo andando?" chiese.
"In un'altra città, in uno dei nascondigli della resistenza. Lì troveremo una cosa che ci aiuterà a sistemare il mondo..." Il detective sospirò, senza staccare gli occhi dalla strada. "Spero".
Billy corrugò la fronte. Continuava a non capire quello che stava succedendo. Poi all'improvviso ripensò alla donna che sembrava sua madre... Quando fosse giunto il momento avrebbe scoperto la verità. Forse, benché ancora non osasse crederlo, potevano tornare a essere una famiglia.

Jim rotolò a terra, urlando di dolore, stringendosi con forza la mano rotta con quella sana. In piedi c'era il Quarto e fuori dal negozio attendeva il mostro che aveva inseguito Billy. Ruspava il cemento come avrebbe fatto una gallina con il terreno.
"Te lo ripeto" insistette il Quarto, gettando dall'altra parte del bancone un fucile a pompa. "Dov'è il bambino?"
"Non lo so!" urlò Jim. "King lo ha portato via con la macchina... posso darvi la targa, se vi serve!"
"Le saremmo grati se vorrà collaborare" disse il Quarto. Poi afferrò il cellulare e compose un numero.
"Sì?" disse una voce dall'altra parte della cornetta, una voce che era identica alla sua.
"La pista si sta raffreddando. Il bambino lo ha portato via il mago. Avremo bisogno di qualcosa di meglio di un Segugio per catturarlo".
Dall'altra parte ci fu una pausa, poi: "Sei tu al comando di questa operazione. Come consigli di procedere?"
"Voglio il Sommo Inquinatore" disse il Quarto, "e il suo esercito di Quasi Incubi".

La Chevrolet era parcheggiata per metà sulla strada e per metà sul marciapiede. Billy vide il dottore cadere a terra, scivolare sul pavimento incerato e fermarsi alcuni centimetri dopo; poi qualcuno gli premette un piede sul petto per impedirgli di rialzarsi.
"Sapevo che avresti reagito così" bofonchiò il detective.
Erano in un vecchio negozio di alimentari abbandonato. Dall'altra parte della stanza una donna lo fissava silenziosa. Era alta, con gli occhi verdi e folti riccioli rossi raccolti perché non le finissero sul viso. Sollevò la mano e fece cenno all'uomo che teneva King bloccato.
"Liam, basta" disse.
L'uomo, un energumeno di circa centodieci chili, si spostò di lato e tese una mano a King per aiutarlo a rialzarsi. Il detective sorrise, la afferrò e si rimise in piedi.
"Scusa, vecchia mia" disse, rivolto alla donna dai capelli rossi. "Non so come chiamarti. Per me sei sempre stata la Forza".
La donna sorrise. "Puoi chiamarmi Vivian, per ora".
Gli si avvicinò e gli strinse la mano. Lui la attirò a sé e la baciò. Liam fece per dividerli, ma la donna gli fece segno di non scomodarsi. Tornò a concentrarsi sul detective: gli sorrise, quindi gli tirò una ginocchiata nello stomaco che lo fece piegare in due.
"Mentre tu... come ti chiamano in questo periodo?" chiese, con noncuranza.
Il detective sorrise e alzò la testa, senza fiato. "Ethan. Ethan King" borbottò.
Vivian sbuffò. "Preferivo il Giudizio".
King si rimise dritto, si strinse nelle spalle e fece un rapido segno in direzione di Liam. "E questo" chiese, "dove l'hai pescato?"
"Anche lui nell'organizzazione" disse la donna. "Era il Sette di Bastoni".
Liam fece un piccolo inchino rivolto al detective.
"Disperso in missione" spiegò Vivian. "Lo abbiamo trovato durante la battaglia alla Città delle Urla. Ma siamo arrivati tardi. L'Alveare gli aveva già strappato la lingua. Ai tempi gliene avremmo costruita una nuova, ma adesso..."
King abbassò lo sguardo e corrugò la fronte.
"Combatté con noi, sai?" disse Vivian, questa volta con un accento critico nella voce. "Non come facesti tu".
King strizzò gli occhi, nervosamente. "Non avevamo vere possibilità di..."
"Ma almeno noi non siamo scappati". Il tono della donna si era fatto più duro mentre continuava a fissare il detective.
"E cosa vi è venuto in tasca? A te, all'Eremita e al Bagatto?"
"Se tu fossi stato con noi..."
"Ma non c'ero" disse il detective. "Quando sono stato chiamato all'impresa sono scappato. E ora sono vivo".
"Un vigliacco, sei stato".
"Non chiamarmi vigliacco!" King strinse spasmodicamente i pugni e Vivian sussultò. "Quello che è fatto è fatto" aggiunse a mezza voce. "E in nessun modo può essere disfatto. Sono qui per altri motivi".
La donna scosse la testa e spostò lo sguardo su Billy. "Lui?"
"Il bambino che ci salverà".
"Se questo è uno scherzo..."
"Prova a sondargli la mente" disse il detective. "Una volta eri una discreta medium".
La donna lo fissò con irritazione, poi si fece avanti e tese la mano a Billy. Quando gliela strinse lei le chiuse sopra l'altra. Prese un bel respiro e chiuse le palpebre.
All'improvviso cadde sul pavimento, in preda a forti convulsioni. Ma durarono poco: prima che potessero soccorrerla si riprese e si guardò attorno come in cerca di qualcosa. Liam le mise una mano dietro la schiena e l'altra come cuscino sotto la nuca.
"Ora capisci?" chiese King.
Liam si voltò in direzione del detective, scuro in volto, e fece per rialzarsi. Ma la mano di Vivian gli si chiuse attorno al braccio e lo trattenne. La donna era tornata in sé. Fece cenno a Liam di rimanere con lei, quindi parlò a King.
"Di cosa hai bisogno?" 
"Dobbiamo aprire un passaggio sullo spaziotempo. Sai cosa serve".
Vivian annuì e fece segno a King verso una porta alle sue spalle. Il muro era di compensato, ricoperto di geroglifici d'argento di protezione.
"È lì. Non l'ho toccata da quando me l'hai data".
King batté le mani, sorridendo. "Grazie, Vivian" disse. "Se tutto va come spero, abbiamo appena salvato il mondo".
La donna lo guardò per un attimo e sorrise. "Almeno una volta".

Il detective si inginocchiò in mezzo a un mucchio di rifiuti magici, frugò, spostò, li tolse e li rimise a posto, lacerandosi le dita nella ricerca. Alla fine strinse le mani attorno a un oggetto a forma di pentagono. Lo estrasse, trionfante, per mostrarlo a Billy. Su un lato era disegnata una griglia di quadrati in lacca rossa e nera, e l'altro esibiva una lastra di legno a vista.
"Che cos'é?" chiese il bambino.
"Una scacchiera!" disse King. "Era di Jim! È così che l'ho conosciuto. L'ho recuperata per lui, ma appena ho capito quanto fosse pericolosa l'ho comprata e sono venuto a nasconderla". Si rialzò in piedi e si tolse la polvere di dosso. "Sapevo che l'Alveare non avrebbe dovuto averla, qualunque cosa fosse successa".
L'afferrò per un angolo, tenendola dritta con le dita, poi sorrise. Fece l'occhiolino a Billy e la lasciò andare. La scacchiera rimase sospesa.
"È una magia?"
"Una magia, sì". Il detective fece un passo indietro per ammirarla e mise una mano sopra la spalla di Billy. "È un foro, un'apertura nello spaziotempo... Spero riesca a trovare il continuum da cui vieni e ci permetta di recuperarlo".
Ebbe appena finito di parlare che le pareti dell'edificio incominciarono a tremare. Dell'intonaco cadde dal soffitto, imbiancando la giacca del dottore, e lui si chinò su Billy per fargli da scudo. Ma non cadde nient'altro.
Qualcuno bussò alla porta e, senza aspettare una risposta, entrò.
"Ci stanno attaccando" disse Vivian.
"Chi?"
"L'Alveare. Hanno mandato un Inquinatore".
King serrò per riflesso la mano sulla spalla del bambino.
"Quanto tempo?" 
"Non molto. Gli scudi non resisteranno neanche dieci minuti". Vivian sospirò. "Qualunque cosa vogliate fare, fatela adesso".
La donna sorrise a Billy e tornò nell'altra stanza.
King si avvicinò a una finestra. Nel buio pomeriggio invernale, sotto la luce di un lampione, vide qualcosa  accanto alla sua macchina. Un uomo di circa tre metri, vestito di una tunica rossa da cui spuntavano due zoccoli fessi, con in mano un tridente e in mezzo alla fronte un corno d'avorio. Stava tracciando segni in aria e mormorava parole sommesse... Preghiere agli dèi per abbattere gli scudi, pensò il dottore. Dietro alla sua enorme massa si stavano accalcando una ventina di zombie che si urtavano e muovevano le braccia in direzione dell'edificio, probabilmente in preda alla fame.
"Dobbiamo fare in fretta?" chiese il bambino, guardandosi attorno confusamente.
Il detective annuì. "Ora è tempo di fare una scelta, Billy" disse, sforzandosi di non far tremare la propria voce. "Il tuo mondo... per certi versi è migliore di questo, ma..."
"È tutto migliore!" urlò Billy. "Nel mio mondo i mostri non governano tutto".
"Per certi versi è migliore" ripeté King in tono ostinato. "Ma per altri..." piegò il capo, avvertendo un'altra scossa di terremoto. "Io, ad esempio... chi sarò nel tuo mondo? Non ci sono nei tuoi ricordi. La mia agenzia è diretta da un altro. Per quanto ne so potrei anche essere..." King tossì per il pulviscolo nell'aria, poi scosse la testa e riprese il suo discorso. "Ma c'è di peggio" aggiunse, cercando di pensare alle parole giuste da dire. "Qui... qui i tuoi genitori sono vivi. Li ho visti, nella tua testa. Ma di là sei ancora un orfano".
Il bambino si morse le labbra e fece un passo indietro. "Non possiamo cambiare tutto tranne quello?"
"No. È una scelta da fare, e non vorrei fossi costretto a farla. Ma c'è sempre un prezzo per chi salva il mondo".
Billy abbassò lo sguardo, cercando di ricacciare indietro le lacrime. "L'Episcopo mi ha insegnato che..." provò a dire. "No, non posso!" scattò. "Non posso ucciderli. Sono la mamma e il papà, sono miei e li voglio di nuovo!" Si mise a piangere, senza controllo, in bilico sull'orlo di una crisi d'asma. "Mi spiace, non credevo di dover scegliere!"
King corrugò la fronte e abbassò lo sguardo. Sul suo volto si dipinse un'espressione di grande tristezza. "Capisco. Va bene, Billy. Va tutto bene". Si avvicinò al bambino e lo abbracciò. Lasciò che piangesse, che si sfogasse sulla sua spalla. Poi si concentrò, entrò nella sua mente e lo fece addormentare. Lo prese in braccio, stringendolo sotto il torace e sollevandolo, e lo avvicinò alla scacchiera. In quel momento entrò Vivian.
"Stanno per..." iniziò a dire; poi mise a fuoco la scena e si fermò. "Che stai facendo?"
"Quello che va fatto" disse King. Sollevò il braccio del bambino, facendo sì che la sua mano sfiorasse la scacchiera. Lo mise a terra, con cura, in modo che poggiasse la testa su un cuscino.
Le losanghe della scacchiera iniziarono a tremare e caddero all'indietro, all'interno del pentagono, in un vortice arancione che pareva senza fine. Guardarlo dette un senso di vertigini a King.
"Eccolo!" urlò all'improvviso, indicando qualcosa a lato del mulinello. "Il bambino aveva le coordinate! È qui che la storia è stata riscritta!"
"Che hai intenzione di fare?" urlò Vivian, cercando di sovrastare il rumore che proveniva dalla scacchiera.
"Devo riportare il mondo indietro fino a quel punto. Ma devo modificarlo, altrimenti tutto ricapiterà esattamente nello stesso modo".
King chiuse gli occhi e mormorò una preghiera. Si passò una mano sulla giacca e avvertì qualcosa di pesante in tasca. Era la Smith&Wesson che gli aveva regalato Lilian dopo la missione sulle Alpi, per ringraziarlo di averla salvata.
"Oh, al diavolo!" disse King. "Tanto non l'ho mai usata. Non mi sono neanche mai piaciute le armi". Sorrise e, allungando la mano verso la scacchiera, gettò la pistola nel vortice. Quella precipitò in tutte le direzioni e sparì.

Ieri. Di nuovo.
Hurt si guardò attorno, ancora stordito dall'alcol. La camera era lunga, pitturata di bianco, e a un’estremità aveva una cassa di legno chiusa con un lucchetto. Oltre a lui nella stanza c’erano altre sette persone, tutti i membri della Sequenza.
Il Settimo gli si parò davanti a gambe larghe, le mani a pugno appoggiate sui fianchi.
“Ecco il grande detective” disse. “Catturato come l'ultimo dei novellini”.
Hurt sputò a terra un grumo di sangue, e sentì l’occhio sinistro che gli si gonfiava. La gola gli andava a fuoco e non riusciva più a deglutire. All'improvviso percepì qualcosa premergli in tasca, ma cercò di far finta di nulla. Aveva riconosciuto il peso e, anche se non sapeva come fosse possibile, nel petto gli si riaccese la speranza.
“Dov’è Daniel?” chiese.
Il Quarto si fece avanti. Nella mano destra, ripiegata sulla spalla, teneva un sacco di juta. Lo rovesciò sul pavimento e Daniel scivolò fuori, le mandibole semiaperte, la lingua penzoloni e il pelo ricoperto di sangue incrostato. Hurt dovette osservarlo un attimo per assicurarsi che respirasse. Nel frattempo, mentre l'attenzione di tutti era concentrata su quello che stava per accadere, tirava la corda che gli legava i polsi e cercava di allentarla quel poco che gli sarebbe bastato per...
Il Quarto si chinò su di lui, accovacciato sui polpacci, e gli passò una mano tra le orecchie. Poi con l’altra estrasse una Beretta. Ma venne distratto dal movimento di Hurt, che era riuscito a liberarsi; non fece in tempo a far nulla che il detective aveva estratto una Smith&Wesson e gli aveva sparato un colpo in mezzo al torace.
Le gambe di Hurt scattarono e lui si ritrovò in piedi. Sparò ai due alle sue spalle, poi a due davanti a lui. Il Sesto corse in avanti, colpendo con forza il lucchetto della cassa in modo che saltasse. Il contraccolpo la fece spalancare.
"Attacca!" urlò il Settimo.
Il negadonte si precipitò fuori dalla cassa e caricò Hurt. Quello sussultò, alzò la pistola e lo colpì in mezzo alla fronte, poi si gettò a terra, contro una parete, in modo che il mostro passasse senza investirlo. Il negadonte uggiolò, sollevò il muso e cadde per terra.
"E quello da dove cazzo spunta?" chiese Hurt. Si voltò verso gli ultimi membri della Sequenza, sollevò la pistola e premette il grilletto. Poi ancora. Non successe niente.
"I dannati proiettili!" imprecò. Abbassò la Smith&Wesson e guardò i due rimasti. Il Sesto fece per prendere la Colt Python, ma Hurt scosse la testa.
"Non provarci neanche" ringhiò Daniel, ritto sulle zampe. "Un movimento e ti azzanno alla gola".
Hurt lo guardò e sorrise. Chiuse gli occhi, soppesando la Smith&Wesson nella mano sinistra. Non sapeva cosa fosse successo, ma capiva di averla scampata per poco.
"Voi" disse, rivolto ai due che erano ancora in piedi. "Andatevene". La sua espressione si fece dura, determinata. Era da anni che non si sentiva così. "Tornate all'Alveare, dai Reges Mundi e dall'Antipapa e da chi volete". Spalancò gli occhi, sollevò la pistola e sorrise. "E dite loro che mi sono stancato di questo gioco a nascondino e che presto calerò su di loro come la mano di Dio". Hurt premette il grilletto a vuoto e cominciò a ridere.
Il Sesto e il Settimo sussultarono, poi il detective indicò loro la porta con la canna della pistola. I due sembrarono felici di andarsene, aggirando Daniel che continuava a seguirli con lo sguardo.
Hurt sospirò. Si tastò il soprabito alla ricerca delle sigarette, ma si ricordò che la Sequenza gliele aveva tolte quando era stato perquisito. "Vaffanculo" disse.
"Se non ti spiace, capo, ora mi farei un pisolino" farfugliò Daniel. "Sono un po' stanco".
"Permesso accordato" disse il detective.
Daniel si stese a terra e grugnì. Hurt lo guardò un attimo, si avvicinò alla finestra e fece in tempo a vedere il Sesto e il Settimo precipitarsi fuori dalla porta. Spalancò le inferriate e si sporse sulla strada.
"State pronti perché sto arrivando!" urlò, e la sua risata li accompagnò nel buio.
Avrebbe messo fine alla storia dell'Alveare una volta per tutte, si disse, osservando il suo fiato condensare al freddo della notte. Avrebbe dovuto farlo già da molto tempo. Non sapeva perché, ma si sentiva carico di uno strano potere... E aveva grandi progetti per il futuro.