martedì 22 aprile 2014

EPISODIO 5


La Scacchiera Pentagonale

[di Stefano Mazzoni]




Cinque anni fa.
I tre videro un fulmine colpire il muro che dava a occidente. I mattoni crollarono, lasciando in vista il labirinto interno. Gli altri muri si ripiegarono su loro stessi e precipitarono mentre l'incendio consumava l'ossatura in legno. Lentamente, mentre gli incubi urlanti dell'Alveare cercavano di scappare, la torre si abbatté al suolo; ma i sigilli dell'Eremita si attivarono e li confinarono all'interno del crollo, e di loro non rimase altro che i resti schiacciati sotto le rovine.
Finalmente, giunti a distanza di sicurezza, i tre si fermarono. La Forza cadde a terra, col respiro corto, cercando di riposare, i capelli rossi sporchi di sangue. Il Cavaliere di Coppe si piegò in due, con le mani sulle ginocchia. Solo l'Eremita parve ancora in grado di camminare, la sua bassa sagoma appoggiata a un semplice bastone da passeggio.
"Sei stato bravo, Cavaliere" disse. "Là dentro. Non avremmo potuto battere l'Alveare senza di te".
Il Cavaliere di Coppe non alzò gli occhi da terra. "Il Bagatto è morto" sussurrò, frustrato, stringendo a pugno le mani.
"Si è sacrificato per salvarci. Era un uomo d'onore".
"Non l'avrei creduto" ammise la Forza, ma si morse le labbra. L'Eremita le tese una mano e lei l'afferrò, e facendo forza su di essa riuscì a rialzarsi.
"Coraggio" disse il vecchio mago.

Oggi.
Hurt se ne stava accovacciato sui polpacci, cercando di fare meno rumore possibile, controllando il respiro, con la schiena già sudata appoggiata a una grossa cassa di compensato. Non stringeva in mano la sua Smith&Wesson perché sapeva che sarebbe stata inutile contro di loro.
La porta si aprì, lasciando filtrare un fascio di luce elettrica. Con un suono di cartone su plastica le tre creature avanzarono dentro il magazzino. Si udì un forte risucchio mentre i Puzzler odoravano la stanza.
L'Alveare li avevi messi alle calcagna di Hurt appena aveva accettato il caso. Il detective se n'era accorto immediatamente e si era spalmato addosso saliva di gatto per nascondere il proprio odore. Sarebbero usciti dal magazzino appena avessero pensato che non ci fosse nessuno. Ancora pochi istanti...
"Che succede lì?"
Era Fat Jim dall'entrata. Un urlo appena soffocato rivelò ad Hurt che i Puzzler si erano girati a guardarlo, e che lui aveva visto loro. Fat Jim, malauguratamente, era il suo cliente. 
Gli aveva detto di aspettarlo in macchina, ma Jim era famoso per la sua avidità, non per la sua fiducia, e a quanto pare aveva voluto seguirlo all'interno.
Gli rimaneva poco tempo. I Puzzler stavano avanzando verso il suo cliente con le mani tese, pronti a infliggergli la maledizione. Hurt doveva salvarlo.
Si guardò attorno. La cassa contro cui era premuto poggiava su un basso carrello; si alzò e poggiò tutto il suo peso sulla scatola, facendo forza coi piedi finché il carrello non iniziò a muoversi. Quindi spinse verso la porta finché la cassa non prese velocità e lasciò che si sfracellasse contro un Puzzler.
Appena venne colpita, la creatura esplose in mille tessere. Gli altri due si girarono verso di lui: la loro vista non era buona, e Hurt rimaneva invisibile al loro olfatto, ma potevano sempre trovarlo con l'udito. Hurt si gettò verso Jim e lo prese sottobraccio, poi lo trascinò per il corridoio verso l'uscita.
"Cos'erano?" chiese lui.
"Puzzler" disse Hurt. "Sai quando stai risolvendo un puzzle, e all'improvviso ti accorgi che manca un pezzo? È l'Alveare che te l'ha rubato per costruire i suoi dannatissimi Puzzler. Sono i suoi sicari e i suoi segugi".
Avevano raggiunto l'uscita ed erano saliti in macchina. Hurt premette la frizione e girò la chiave nel cruscotto; mise la prima e alzò la frizione, accelerando. Passò in seconda, e poi in terza e in quarta. Jim girava il collo grassoccio a controllare se quelle creature li stessero inseguendo.
"Ci troveranno" lo avvertì Hurt. "Conoscono il mio odore, e ora anche il tuo".
"Cosa ci fanno se ci trovano?"
"Se un Puzzler ti tocca non puoi parlare se non con parole che iniziano con la A. Una tragedia quando devi ordinare da bere". Si girò un secondo a guardare il volto di Jim. "Ma di questo non devi preoccuparti. Solitamente, quando ti toccano, è per strangolarti".
Il grassone deglutì e si tirò il colletto della camicia sul collo. "Hai trovato la scacchiera?" chiese.
"No, al magazzino non c'era. Devono averla già portata alla Casa d'Aste".
"Che facciamo?"
"È lì che stiamo andando".
Hurt sorrise, e sul rettilineo passò in quinta.

Il detective inchiodò in mezzo alla strada e lasciò in folle. Scese e in poche, rapide falcate raggiunse la Casa d'Aste. Fat Jim trotterellava dietro di lui. Hurt si fermò all'improvviso e rovistò con la mano nella giacca, poi estrasse un pacchetto di sigarette. Se ne mise una in bocca e la accese con un fiammifero (chi usa più i fiammiferi? si domandò Jim); aspirò una boccata di fumo e infine porse la sigaretta al suo cliente.
"Grazie, non sono abituato" disse lui.
Hurt non ritrasse la mano. "Serve a confondere gli odori" disse. "Sapranno che sei lì ma non ti riconosceranno... subito. Ci darà un vantaggio". Fat Jim si strinse nelle spalle e prese la sigaretta. Aspirò a malapena, e quando il fumo gli toccò la gola tossì.
La Casa d'Aste era in cima a una scalinata, sotto un portico nero. Entrarono. Appena li vide, un agente della sicurezza si fece avanti per controllare i loro pass.
"L'asta inizierà tra alcune ore" disse.
"Nessun problema" rispose Hurt. Alzò l’indice davanti a sé e infilò la sinistra in tasca come se volesse prendere un documento; poi, chiusa a pugno, la porse alla guardia, che stringendola si ritrovò in mano una banconota.
"Vogliamo solo vedere alcuni lotti. Per prepararci al meglio".
La guardia lo fissò corrugando la fronte.
"Se non ti convinciamo puoi sempre perquisirci all'uscita". 
Hurt gli fece l'occhiolino, e la guardia si sentì un poco nauseato. Senza accorgersene strinse la banconota e si fece da parte.
"Va bene, ma fate in fretta" disse. "E qui non si fuma" aggiunse, ma i due si erano già allontanati e non lo stavano ascoltando.
Hurt e Jim si mossero in fretta. Salirono sul palco ed entrarono nella stanza attigua, dove erano riposti tutti i lotti prima che fossero battuti. Il soffitto aveva un ampio lucernario con una rete per trattenere i frammenti in caso d'incidente, ma le maglie erano troppo larghe e non avrebbero potuto fermare i frammenti più piccoli.
Iniziarono a cercare tra i pezzi d'antiquariato. Hurt seguì il formicolio della mano fantasma: spostò un candelabro ebraico e, all'ombra di una cassa, trovò la Scacchiera Pentagonale.
"È qui!" disse a Jim, che si avvicinò per studiarla.
"È proprio lei" disse. "La scacchiera del nonno. Diceva valesse milioni". Jim sporse le dita unticce a toccarla, ma "Che ci fate qui?" chiese all'improvviso qualcuno alle loro spalle.
Si voltarono. Un uomo vestito con una giacca blu, una camicia e un foulard, coi capelli tirati indietro - forse il battitore -, li fissava dall'entrata. Hurt afferrò la scacchiera.
"Se la volete dovete aspettare l'asta" disse l'uomo.
Jim si fece avanti. "Questa scacchiera è stata rubata a mio nonno, buonanima, molti anni fa, e ora appartiene a me. Non intendo pagare nessuno per riaverla".
"Tranne me" bofonchiò Hurt.
"Tranne lui" confermò Jim.
Il battitore si fece paonazzo in volto. "Questo è inaudito! Dovreste produrre dei documenti, delle prove... Questa scacchiera appartiene alla famiglia Graham!"
"Ladri e figli di puttana!" 
Il battitore stava per rispondere a tono, ma una mano rappezzata uscì dall'oscurità e gli tappò la bocca. Lo spostò, sollevandolo facilmente con l'altro braccio, e lo fece rotolare a terra.
"Andiamo alle Azzorre!" iniziò a dire il battitore. Sbatté le palpebre con aria confusa, poi "Aiuto! Aiuto!" urlò. Qualcuno gli tirò un calcio alla tempia, facendolo svenire. I Puzzler entrarono nel cono di luce proiettato dal lucernaio.
Jim barcollò di lato e si appoggiò alla statua di un amorino, bofonchiando che lo lasciassero in pace. Ma i Puzzler non lo guardavano neppure: puntarono dritti su Hurt, che ancora stringeva la scacchiera. Con la mano libera estrasse la Smith&Wesson e la puntò contro di loro; poi, mordendosi un labbro, la sollevò verso il lucernaio.
"Copriti!" urlò a Fat Jim.
Partì un colpo che si conficcò nel vetro rinforzato. Poi un altro, che lo frantumò. Hurt alzò la giacca per coprirsi la testa e Jim si raggomitolò a terra, con l'impermeabile ad avvolgerlo da capo a piedi.
La pioggia di vetri si riversò sui due Puzzler. I pezzi si conficcarono tra le loro tessere, ma quelli non sembrarono curarsene. Il battitore, invece, fu sommerso dai frammenti e iniziò a sanguinare dal viso.
Quando Hurt abbassò la giacca vide che i Puzzler gli erano praticamente addosso. Si muovevano lenti, però: è difficile infondere velocità agli omuncoli, qualsiasi sia il materiale di cui sono fatti.
Si piegò sugli articoli dell'asta. A tentoni afferrò il candelabro e lo gettò contro il più vicino, ma quello rimbalzò staccando a malapena un paio di tessere. Hurt valutò attentamente la situazione, costringendosi alla calma con un esercizio di respirazione. I Puzzler tagliavano loro la via d'uscita, e a portata di mano non c'era nulla di pesante per colpirli. Ormai avevano allungato le mani per toccarlo…

Cinque anni fa.
"Sicuro di volertene andare?" chiese la Forza. Aveva la schiena appoggiata contro un muretto di sassi. Lei e il Cavaliere, dopo essere stati in riunione coi vertici del Mondo, stavano ora facendo un picnic in uno dei prati rigogliosi dell'Essex.
Lui si strinse nelle spalle. "Sono stanco. Stanco di tutto questo". Fece un gesto vago, verso l'orizzonte, come a voler abbracciare il mondo intero, poi si voltò verso di lei e la fissò negli occhi. "E l'Alveare ci sta dando la caccia, giusto? Anche l'Eremita parla di ritirarsi. C'è un incantesimo per sigillare i nostri nomi, dicono, e per renderci irrintracciabili".
La Forza sorrise e si scostò dalla fronte una ciocca di capelli. In quel momento, alla luce del tramonto, avevano il colore della fiamma. "Io rimango. Combatto fino alla fine".
Il Cavaliere annuì, poi tornò a guardare il cielo e dalla tasca estrasse un pacchetto di sigarette. Lo sollevò e gliene offrì una.
"No, grazie" disse lei. "Io sono la Forza, non la Temperanza; e come potrei esserlo con i polmoni pieni di catrame?" Lo guardò e rise, una di quelle risate di cuore, sincere, che il Cavaliere non aveva mai udito provenire da nessun altro.
Lentamente, com'era iniziata, la risata si spense. "A parte quello che voglio io" riprese la donna, "non credo che mi lasceranno restare".
Il Cavaliere la fissò senza parlare.
"Dicono che siamo troppo importanti. Che l'Alveare ci sta cercando per... per disfare quello che abbiamo fatto, o qualcosa del genere. Dio solo sa come intendono farlo". Si strinse nelle spalle e arricciò le labbra. "Comunque i grandi capi non possono permetterglielo. Sigilleranno anche il mio nome  e mi lasceranno andare per il mondo, libera come una foglia..." Sospirò, come se quella prospettiva non la entusiasmasse molto. "Forse me ne tornerò in Irlanda" disse, guardando a ovest.
"Mi spiace" disse il Cavaliere dopo un attimo, non sapendo cosa altro dire.
La Forza gli dette un pizzicotto sul braccio, poi gli si avvicinò e lo baciò sulle labbra. Il Cavaliere ne fu sorpreso, ma quando fece per schiudere le sue lei si allontanò.
"E dimmi, amico mio" disse, sorridendo come se non avesse più un solo pensiero al mondo. "Com'è che hai intenzione di farti chiamare?"

Oggi.
Hurt sollevò la scacchiera e la lanciò in aria. "Prendila!" urlò a Jim.
Come una testuggine, timidamente Jim sporse la testa da sotto l'impermeabile. Vide la scacchiera e si gettò per afferrarla, per frenare la caduta, temendo potesse rompersi e sparire coi suoi soldi. Hurt chiuse gli occhi...
I Puzzler si bloccarono. Ritrassero le mani e si girarono, poi si allontanarono. Uscirono dalla porta senza fare rumore, senza mai guardarsi indietro. Hurt riaprì gli occhi e vide che Jim stringeva la scacchiera e li osservava con occhi smarriti.
"Cosa è successo?" chiese.
Il detective si raddrizzò e si rassestò la giacca. "La scacchiera è tornata al suo legittimo proprietario. L'Alveare non può rubarla o ucciderti per averla, altrimenti diventerebbe inutile".
Jim piegò la testa e studiò la scacchiera del nonno.
"Che ha di tanto prezioso?" chiese.
"Credimi, è meglio che tu non lo sappia". Hurt si avvicinò e gli tese la mano per aiutarlo a rialzarsi; poi con l'altra spazzolò via il vetro che aveva sull'impermeabile. "Domani ti aspetto per saldare il conto" gli disse.
Mentre usciva si attardò un attimo a guardare il battitore. Ripeteva, in tono sommesso, "Aviatore... aggancio..."
Fuori anche le guardie erano in stato di shock. Il detective si strinse nelle spalle, pensando che non fosse affare suo. Si accese una sigaretta e se ne andò.

Due giorni dopo un uomo con folti riccioli castani, elegantemente vestito, entrò al Banco dei Pegni di Fat Jim. Il proprietario lo riconobbe: avevano parlato al telefono poche ore prima.
"Io sono il Sesto" disse l'uomo. Gli sorrise e gli strinse la mano. Nonostante il caldo indossava guanti neri, spessi, di felpa.
Jim ricambiò il saluto e afferrò qualcosa da sotto la cassa, poi si risollevò e poggiò sul banco la Scacchiera Pentagonale. Il Sesto la studiò per un attimo, quindi si mise una mano nella giacca ed estrasse un sacchetto di velluto. Lo porse a Jim, che lo aprì e si fece rotolare in mano alcuni diamanti; infine, annuendo, lo richiuse con la cordicella.
"L'Alveare è lieto di fare affari con lei, signore" disse il Sesto. "Ma le consiglio di non immischiarsi più nelle nostre faccende".
"Stia tranquillo" disse Jim. "Non sono uno stupido. E se avessi saputo come stavano le cose, stia certo che fin dal principio non avrei mai assunto quel... quell'Hurt".
Il Sesto piegò la testa in segno di saluto o di assenso e, senza aggiungere una parola, si allontanò dal locale cantando un motivetto allegro su un certo Jack of Hearts.

L'Alveare avrebbe di certo preso provvedimenti.