giovedì 25 settembre 2014

SPECIALE 3

Jack Hurt: Le Terre dell'Autunno [Tre di Tre]

[di Stefano Mazzoni]




IV. Scontro tra campioni

Gli eserciti di Dom-Daniel e di Avalon, di Tir-nan-Og e del Mag Mell, del Connacht e dei Cinque Regni si erano riuniti all'ombra delle torri di Oberon, inneggiandolo come unico signore di Faerie. Un gigantesco campo di tende blu, verdi e argento sorgeva attorno alla strada del re, fin quasi al guado custodito da Little John. Alcuni folletti avevano provato a recintarlo con una palizzata di legno, ma i primi tronchi giacevano a terra già svelti e dimenticati dai loro costruttori. Ovunque le bandiere coi simboli del Popolo garrivano al vento: l'albero di frassino dei Figli di Nemed e l'occhio bicornuto degli Eredi di Partholòn, il corvo e il cane della regina Morrigu e i tre fiumi delle razze Fir Bolg.
Le fate correvano da un capo all'altro dell'accampamento recando messaggi da parte di ufficiali più o meno riconosciuti, mentre animali dagli occhi umani si aggiravano inquieti, appena fuori dai confini del sentiero, cercando qualcosa da fare o, in alternativa, da divorare. Mentre inseguiva una ninfa, un satiro tagliò la strada ad Hurt, e un nano ciccione lo fermò per fargli dono di un vino di quercia, speciale e dal colore ambrato. Il detective rifiutò cortesemente e si diresse verso il padiglione centrale, la gigantesca tenda di Oberon che si ergeva sulla collina al centro dell'accampamento.
Il custode dalla testa di tulipano ora stava a guardia della tenda. Appena vide il detective abbassò la picca e gli sbarrò la strada; poi lo riconobbe, sbuffò e ritrasse l'arma. Hurt scostò la tenda ed entrò.
All'interno c'erano Oberon, ancora vestito della sua armatura da caccia, avvolto in un ampio mantello, e su un piccolo scranno accanto a lui un elfo molto più vecchio, con un  braccio che luccicava come fosse fatto d'argento. Puck, stavolta completamente nudo, stava inginocchiato davanti ai due, recando notizie dall'accampamento.
"Conan e Morc sono appena giunti, miei signori" disse. "E hanno portato con loro un vasto contingente di fomori".
L'anziano elfo strinse il pugno e distolse lo sguardo. Finalmente Hurt capì chi fosse: era Nuada, signore dei Tuatha de Danann, re d'Irlanda.
"Non sarebbero dovuti venire" disse, rabbuiandosi. "Manannan mac Lir è giunto da Tir-nan-Og e dal Mag Mell e ha portato truppe fresche. Non ha dimenticato la battaglia con Tethra dei fomori. Rischi la sua defezione".
Oberon sventolò una mano in direzione di Nuada e gli rivolse un sorriso fisso, di circostanza. "La guerra fa strani compagni di letto, dicono i mortali. Anche i Fir Bolg non sono contenti di dover combattere al tuo fianco, ma questo è". Gli occhi del re caddero su Hurt che se ne rimaneva in disparte, in fondo alla tenda, ma per il momento parvero ignorarlo. "Se hai qualche rimostranza da fare, ce la presenterai quando Hreidmar sarà stato sconfitto. Siamo stati chiari?"
Il vecchio parve sul punto di ribattere, ma dovette trattenersi e rimase in silenzio. Si lisciò la barba, si alzò e si batté il pugno d'argento sul petto. "Quando Dom-Daniel chiama, possa tutta Faerie rispondere" disse.
Oberon si batté a sua volta il pugno sul petto. Nuada si inchinò al suo re e si sbrigò a uscire dalla tenda, scostando malamente Hurt mentre passava.
"Così" disse Oberon, stavolta rivolgendosi proprio al detective, "sei tornato. Non ce lo saremmo mai aspettati".
Hurt fece un breve inchino e gli sorrise.

Contemporaneamente, il detective veniva scortato da due guardie elfe al cospetto di Hreidmar. Il re stava affilando un'ascia da guerra nelle stanze scavate nella viva roccia sotto il castello.
"Hai fatto un viaggio veloce" osservò il re.
"A Faerie le distanze sono relative" disse Hurt, spostando il peso da una gamba all'altra. "Si arriva sempre nel momento in cui si deve arrivare".
Hreidmer gli indirizzò uno sguardo indecifrabile, poi "Così dicono" concordò. Gettò la pietra d'affilatura sul letto e si girò verso Hurt. "Allora l'abbiamo già vinta, questa guerra?"

"Uno scontro tra campioni?" chiese Oberon, facendo schioccare la lingua tra i denti. "È questo che ti ha proposto il nano?"
Hurt annuì, deferente. "Uno scontro all'arma bianca. Niente magia. L'esercito del perdente giurerà obbedienza al vincitore".
Puck si mise a ridere, ma si zittì quando Oberon gli rivolse un gesto spazientito con la mano. Continuò comunque a seguire il dialogo, spostando con vivacità gli occhi da Hurt al suo re.
"Perché dovremmo accettare?" chiese Oberon. "Abbiamo radunato metà dei nostri vassalli, che a loro volta hanno portato metà dei loro valvassori. Dei valvassini non gliene importa comunque nulla a nessuno. Possiamo tranquillamente affrontare Hreidmar in campo aperto". Oberon si voltò, serrando le mani dietro la schiena, fissando con insistenza la parete nuda della tenda, come un bambino imbronciato.
"Perché, mio signore" disse Hurt pazientemente, "il tuo esercito rimarrà unito un paio di giorni al massimo".
Oberon sussultò, ma fece finta di non avere sentito.
"Le fate non sono fatte per marciare in guerra: per questo hanno perso le Antiche Guerre. E se Hreidmar sarà abbastanza furbo da rimanersene nel Nidavellir finché tu non sarai solo, per te non ci sarà più alcuna vittoria". Si portò al centro della tenda e pose una mano sullo scranno vuoto di Nuada. "Io ho visto il loro castello" continuò. "E ti posso assicurare che può reggere un assedio molto meglio di quanto potrai fare tu".

"Non vedo perché dovrei accettare" lo interruppe Hreidmar. "Quando potrei invece affrontarlo in campo aperto e staccargli la testa con un colpo della mia ascia".
Hurt sospirò. Sarebbe stato difficile convincerlo: quei guerrieri del nord avevano la guerra nel sangue. "Ho visto il loro esercito. Supera il tuo di cinque a uno".
Hreidmar sputò nel fuoco. Una fiammata più alta delle altre catturò la sua saliva, e per un istante le fiamme si tinsero di verde.
"Bastardi senza disciplina" li liquidò con disprezzo. "Andranno in rotta appena ci vedranno. Ognuno dei miei ne vale dieci dei loro".
"Ma Oberon ha un'altra freccia al suo arco" insistette il detective. "Conosce il Vero Nome della strada del re, e può comandarla a suo piacimento. Potrebbe farvi perdere, o lasciarvi vagare per secoli, o peggio ancora portarvi fuori dal sentiero".
"La magia è un'arma a doppio taglio". All'improvviso il re non sembrava più tanto impavido.
"Forse. Ma è pur sempre un'arma". Hurt estrasse una sigaretta, se la mise in bocca e si avvicinò al camino. Una vampata di fiamme magiche la accese. Il detective prese una boccata e iniziò a tossire; fissò per un attimo la sigaretta, con aria sorpresa, poi la gettò nel camino.
"Oberon ti sta offrendo la possibilità di vincere questa guerra" disse. "Io accetterei".
"E chi dovrei mandare?"
Hurt si pose una mano sul petto. "Me".
"Ho a disposizione migliaia di guerrieri, e tu ti aspetti che mandi te a combattere?"
Il detective si dondolò sulle punte e per un attimo distolse lo sguardo dal re, cercando di nascondere la sua paura. "Un uomo è più forte di qualsiasi elfo o folletto Oberon potrà mai schierare. Se è vero che non possono usare magie, abbiamo già la vittoria in pugno".
Hreidmar lo squadrò, corrugando la fronte. "Se mi parli di forza, potrei dirti che schiererò un gigante o un troll".
Hurt scosse la testa con foga. "È proprio quello che si aspettano. Oberon manderà un ammazzagiganti o un ammazzatroll. Ma oggettivamente nessuno si potrà aspettare... moi".
Il re sbuffò. Poi fischiò e scoppiò in una fragorosa risata. "Devo dire che parli in maniera convincente, mago" disse. "Il tuo piano è così stupido che potrebbe anche funzionare".
"Quindi?" insistette il detective, col cuore in gola.
"Sia. In fondo hai dimostrato di sapertela cavare. Tu servirai come campione per il Nidavellir".

"E se dovessimo accettare" chiese Oberon, torcendosi le dita magre, "chi dovrebbe essere il nostro campione?"
Hurt sorrise e si mise una mano sul petto. "Umilmente mi offro volontario, maestà".
Oberon si voltò di scatto, impigliandosi nel suo stesso mantello, ma si divincolò continuando a far finta di nulla. "Hreidmar schiererà uno dei suoi guerrieri più forti. E noi invece dovremmo mandare te?"
Hurt si batté il pungo sulla mano. "Dovreste perché nessuno se lo aspetta. Hreidmar si preparerà a ogni evenienza, a ogni trucco possibile, e farà in modo che il suo campione possa rispondere colpo su colpo al tuo... Ma non potrà mai immaginare me".
"Non cambia nulla. Schiererà i Giganti del Gelo o magari il più forte dei suoi troll" insistette il re. "Che speranza hai tu contro di loro?"
"Jotunheim non vorrà aver nulla a che fare con questo scontro. Non è una loro battaglia, e sicuramente non sono fatti per inchinarsi a un elfo". Il detective si portò una mano al petto, all'altezza della fondina. "Per quanto riguarda il troll... non sarebbe il primo che uccido".
Oberon si passò una mano sul pizzetto, squadrando il detective dall'alto in basso. All'improvviso batté i pugni sul tavolo e lo fece sobbalzare. "Chissà perché, messer umano" disse, "ancora non riusciamo a fidarci di te. Come se ci stessi nascondendo qualcosa".
Hurt deglutì, ma si obbligò a rimanere impassibile. Se Oberon avesse scoperto il suo piano sarebbe stata la fine.
"Tu che ne pensi, mio Puck?" 
Il folletto si gettò a terra, fece la ruota e si rialzò a fianco di Hurt, che indietreggiò di alcuni passi. Robin gli rivolse un'occhiata maligna che riuscì a rendere il detective ancora più nervoso, poi si rivolse al suo sovrano.
"Questo mortale" sentenziò, puntandogli un dito contro, "ha una faida aperta con nientepopodimeno che... la Dama Grigia".
Hurt avrebbe voluto zittirlo, ma non poteva far nulla finché il re li osservava. Oberon si portò le mani attorno alla bocca e invitò Robin a continuare.
"Ho scoperto che la Dama ha rapito uno dei suoi congiunti. Lo ha fatto secondo le regole, prima che venisse battezzato". Oberon annuì, da vero esperto. "Il mortale vuole vendicarsi di lei - o liberare il fratello, la cosa non mi è chiara". Sghignazzò e si scrocchiò le dita, lentamente, come volesse esasperare Hurt. "A chi è chiara, del resto? Per riuscirci comunque non c'è dubbio che avrà bisogno del nostro aiuto".
Il detective tirò un sospiro di sollievo. Oberon si risollevò e applaudì. "Sta bene, Puck" disse. Poi, rivolto ad Hurt: "Allora è deciso che sarai il nostro campione. Di certo ci tieni, a vincere questa guerra".
“Più di quanto immaginiate. Vi ringrazio, maestà”.
“Non ringraziare mai una fata”. Il re picchiò il piede a terra tre volte e il padiglione venne scossa da un violento terremoto. Hurt si precipitò all'uscita, sollevò la tenda e per un attimo pensò che tutto l'accampamento stesse sprofondando in una fossa. Ma no, erano loro a sollevarsi! Si aggrappò a una trave e si sporse con tutto il busto per guardare cosa stesse succedendo.
Da sotto il padiglione, al posto della collina, era spuntato un enorme cane carlino dal muso sbavante. In quel momento, con le sue zampe tozze, l'animale si mise a trottare sulla strada del re, diretto verso il Nidavellir.
Sarà un viaggio lungo, pensò Hurt.

L'incontro si sarebbe tenuto in campo neutrale, a metà strada tra le Terre dell'Autunno e quelle del nord. Per l'occasione Oberon aveva reso più ampia la strada del re, creando una specie di spiazzo su cui gli eserciti potevano incontrarsi e sfidarsi. Da una parte erano accampate le forze di Oberon, verdi, blu e argentee; dall'altra le tende dei guerrieri di Hreidmar, nere e marroni. Ai lati della strada, ai confini con la prateria magica, erano state costruite delle tribune da cui le truppe avrebbero potuto comodamente seguire lo spettacolo.
Hurt era seduto su una panca nell'armeria di Oberon, teso, lanciando ogni tanto uno sguardo verso le rastrelliere. Prese una sigaretta e se la accese, ridendo tra sé. "L'ultimo desiderio di un condannato a morte".
Nella tenda entrò un fomor dalla testa di capra, con le braccia cariche di spade. Le poggiò delicatamente sulla panca e si piazzò davanti al detective, le gambe larghe ben piantate a terra e i pugni sui fianchi.
"Il re avrebbe dovuto scegliere uno della mia gente" disse. "Siamo forti. In noi scorre il sangue dei giganti".
Hurt prese la sigaretta e la osservò consumarsi, poi la buttò a terra e la schiacciò con lo stivale.
"Ho bisogno di un'armatura" disse, ignorandolo bellamente.
Il fomor grugnì, ma si girò per andare a cercarla.
"Completa, che non lasci nulla di scoperto" precisò il detective. "Ma leggera, fatta dai Tuatha de Dannan. Avrò già abbastanza difficoltà a muovere la spada".
Il fomor si voltò, fissandolo con occhi sprezzanti, e tornò a cercare quello che gli era stato chiesto. Hurt lo seguì con lo sguardo, poi ruotò sulla panca e si stese, le mani dietro la testa, la nuca che sfiorava appena le spade, e chiuse gli occhi.

I corni di entrambi gli schieramenti suonarono e i campioni scesero nell'arena, lasciando le impronte dei loro stivali sulla sabbia. Non c'erano stati né altri incontri né altri accordi tra Oberon e Hreidmar: il patto era stato stretto, e ci avrebbero pensato le Sorelle del Wyrd a farlo rispettare, o a vendicarsi se qualcuno lo avesse infranto.
Oberon sedeva mollemente sul suo trono, il mento abbandonato sulla mano, la mazza rossa poggiata contro il bracciolo. Con la mano libera arraffava dei chicchi d'uva da una ciotola di legno, li stringeva tra le dita e se li portava alla bocca, succhiandone la polpa e gettando via la buccia. Dall'altra parte del campo, Hreidmar, avvolto in un mantello di pelle d'orso, si tormentava la barba e guardava torvo il campo di battaglia.
Hurt entrò nell'arena con un'armatura azzurra, stringendo in mano un gladio di bronzo. Aveva provato altre spade, ma questa era l'unica che riuscisse a maneggiare senza che il braccio gli dolesse troppo. Dall'altro lato il suo avversario era anch'egli ricoperto da una corazza, che però era laccata di rosso. Reggeva una spada vichinga: la mostrò al pubblico e con abilità se la fece roteare nel palmo. Dalle tribune del Nidavellir esplose un'ovazione.
"Faccia meno il gradasso" mormorò Hreidmar; ma vide che Oberon si muoveva inquieto sul trono, come a voler trovare una posizione più comoda, e sorrise.
Re Nuada era stato scelto come arbitro dello scontro. Era vecchio e potente, conosceva molti Nomi e persino Oberon avrebbe avuto difficoltà a corromperlo. Osservò entrambi i contendenti con sguardo truce, e a un loro cenno abbassò il braccio e dette inizio alla gara.
Hurt si fece sotto, impacciato dalla sua armatura. Menò un fendente all’armigero rosso con tutta la forza che aveva in corpo, ma quello si limitò a sollevare la spada e a pararlo, spinse e lo fece indietreggiare. Hurt provò a girare su se stesso e a darsi forza per un colpo di lato, ma quello fece un balzo e lo evitò.
L’armigero rosso si mise in posizione di guardia, con le gambe flesse e la spada a quarantacinque gradi. Aprì la mano e gli fece cenno di avvicinarsi.
Ad Hurt parve si stesse prendendo gioco di lui; anzi, che l'intera arena lo stesse facendo. L'armatura era leggera, ma gli impacciava i movimenti; inoltre era calda, molto calda, e il detective non osava alzare la celata per timore che Hreidmar lo riconoscesse.
"Vaffanculo!" urlò, per darsi coraggio. Con la spada fendette l'aria dal basso verso l'alto, ma l’armigero rosso dovette solo spostarsi di lato. Hurt aveva il fiatone, e fu allora che il suo avversario tentò di colpirlo. Puntò alla spalla destra, ma fortunatamente lo spallaccio di Hurt deviò il colpo. La botta lo fece vacillare: il detective perse l'equilibrio e cadde in ginocchio.
L’armigero rosso non lo incalzò, e invece si fece indietro e attese che lui si rialzasse. Dal lato del Nidavellir provenivano grida di incitamento. "Colpiscilo! Uccidilo!", dicevano. Ma il loro campione sembrava non ascoltarle.
"Che gli è preso?" pensò Hurt, rimettendosi in piedi. Si fece avanti, urlando per dimenticare la propria fatica, e provò un altro fendente, che però gli venne parato. In fretta, cercando di prenderlo di sorpresa, tentò un tondo in orizzontale, ma il cavaliere parò anche quello; quindi, con la manopola chiusa a pugno, lo colpì sull'elmo facendolo vacillare. Il gladio gli cadde di mano mentre cercava di mantenere l’equilibrio.
L’armigero rosso protese una gamba in avanti, ci poggiò sopra il proprio peso e tentò un affondo. Hurt credette che fosse giunta la sua ora, ma la panziera resistette al colpo. La spada del suo avversario sgusciò dalle sue dita e cadde a terra, come se fino ad allora non l'avesse stretta nel modo giusto.
Fu un attimo, ma sufficiente. L’armigero si gettò per riprenderla, Hurt ci poggiò il piede sopra e lo colpì con un manrovescio che lo fece indietreggiare. Il detective recuperò la spada vichinga e si fece avanti: l’armigero rosso si era appena ripreso dal colpo che Hurt già gli stava premendo la lama sulla giuntura tra l'elmo e lo scollo, lì dove a proteggerlo aveva solo un collare ad ampie maglie. Avesse affondato la spada lo avrebbe di certo sgozzato.
L’armigero rosso alzò un braccio al cielo, col pugno chiuso. Quindi, con un sussulto, lo riaprì. Hurt lo lasciò andare. Nuada seguì quel gesto, e indicò con decisione il campione azzurro.
Il detective aveva vinto. Alzò la spada sopra la testa e: "Capua!" urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo. Le Terre dell'Autunno si unirono a quel grido con le proprie ovazioni, anche se non riuscirono a capirlo. Sconfitto, ormai dimenticato da tutti, l’armigero rosso si allontanò dalla piazza e scomparve oltre le linee del Nidavellir.
Oberon si alzò, un sorriso compiaciuto stampato sul volto da elfo. Fece un passo avanti e venne trasportato accanto a Hreidmar, che si sollevò per fronteggiarlo cercando l'ascia a tentoni.
"Abbiamo vinto" disse Oberon, intrecciando e liberando le mani. "Inginocchiati e prestaci giuramento".
"Mai!" urlò il nano, afferrando l'arma e calandola su Oberon.
Con lui, anche molti dei suoi provarono ad attaccarlo. Ma il loro metallo e la loro pietra si tramutarono in polvere. Oberon si guardò attorno, alzò la mano destra e la fece ondeggiare come se stesse seguendo il suono di una musica lontana. Mormorò appena, perché nessuno lo sentisse, il Vero Nome del vento dell'ovest, che si levò spazzando via i suoi nemici.
Hreidmar lasciò cadere il manico dell'ascia e imprecò. "Non è ancora finita" disse. Guardò il cielo e, ringhiando, decollò avvolto in un turbine nero.
Oberon seguì il suo volo per un attimo, poi gli andò dietro sotto forma di turbine argenteo. I due sparirono oltre le nubi e continuarono la loro battaglia: il cielo era illuminato dai lampi ogniqualvolta si scontravano.

Nell'armeria Hurt si stava togliendo la corazza. Gli schinieri erano già a terra, nella polvere. Stava armeggiando per togliersi la scarsella, quando qualcuno sollevò la tenda e si fece avanti. Si voltò: era il suo nemico, l’armigero rosso.
Il detective scattò in piedi e gli si avvicinò.
"Che ci fai qui?" chiese, cercando di tenere bassa la voce. "Se ci vedono insieme scopriranno tutto".
L’armigero piegò la testa e non rispose.
"Ah, forse hai ragione" ammise Hurt. "Ormai saranno così ubriachi da non far più caso a noi".
Si voltò e tornò alla panca, continuando il lavoro di svestizione. "Almeno mi vuoi dire dove hai imparato a tirare di scherma?" chiese.
L’armigero aprì le braccia e si strinse nelle spalle, sempre rimanendo in silenzio.
"Liberati anche tu di quella armatura, poi ti tolgo l'incantesimo e possiamo lasciare questo posto maledetto".
Il detective sollevò la testa, chiedendosi perché l’armigero non gli rispondesse. Si voltò e "Daniel...?" chiese.
L’armigero alzò le mani e afferrò saldamente il proprio elmo, poi, con un colpo secco, se lo sfilò. Sotto il cappuccio di maglia lo stava osservando, con occhi spalancati e la bocca atteggiata a un sorriso anche più maligno del solito, Robin Goodfellow. La sorpresa fu tale che ad Hurt caddero di mano le cinghie, e rimase ad osservarlo con stupore.
"Credevi di poterci ingannare?" lo schernì il folletto. "Noi, che siamo i maestri dell'inganno?"
Il detective strinse i pugni e si sentì un nodo in gola. "Dov'è il mio cane?" chiese.
Il folletto dette un colpo di speroni a una cassa di legno e il coperchio scattò all'indietro. Ancora appesantito dall'armatura, Hurt si piegò a vedere cosa contenesse.
Daniel se ne stava disteso nella cassa, ronfando con tranquillità, ogni tanto digrignando i denti e borbottando nel sonno che, per favore, la sua padrona la smettesse di cercare di ucciderlo.
"Si sveglierà presto" gli assicurò Puck.
"Se gli avete fatto qualcosa..." disse il detective, anche se sapeva che quelle parole dovevano suonare sciocche.
Puck scoppiò a ridere. "Devo dire che era un buon piano, il tuo" ammise. "Suscitare una guerra e poi proporti come campione di entrambe le fazioni. Saresti stato tu a decidere chi avrebbe vinto, vero?"
Hurt lo guardò di sottecchi, non sapendo cosa aspettarsi da lui.
"Quando Oberon lo ha scoperto ne è rimasto così divertito! Non faceva che parlarne". Puck si chinò sul detective, abbracciandolo con affettazione. "Ma non potevamo fidarci di te, capisci? Così mi ha mandato per assicurarsi che tu stessi dalla nostra parte". Si rialzò e batté le mani. "E, devo dire, da come ti battevi pareva proprio di no!"
Hurt non si scompose. "Cosa ci farete ora?"
Il folletto strabuzzò gli occhi. "Ma ti ricompenseremo, che diamine!" rispose. "Grazie a te Oberon ha il controllo del Nidavellir e Hreidmar è in esilio". Si voltò e, saltellando nonostante la corazza, fece per uscire dalla tenda. "Tutto è andato nel migliore dei modi" sussurrò prima di sparire.
Hurt rimase ancora lì, in silenzio, passando una mano tremante a carezzare il collo di Daniel. Deglutì, cercando di calmarsi, e per tenersi occupato si accese un'altra sigaretta.
"Tutto è andato nel migliore dei modi" ripeté, come in trance.


Epilogo

Ormai era passata una settimana da quando Hurt e Daniel avevano fatto ritorno in Irlanda. Ogni sera avevano posto sul davanzale della finestra una ciotola di pane e latte, rispettando l'impegno che avevano preso con Capra di Montagna. Anche Oberon aveva mantenuto la sua parola: sull'avambraccio del detective era stato impresso il sigillo del re, a significare che sarebbe stato sempre il benvenuto a Faerie, e che tutti i suoi vassalli gli avrebbero dovuto offrire protezione. Ciononostante aveva chiarito che non avrebbe mosso guerra alla Dama Grigia, né per lui né per altri. Il detective aveva imprecato a bassa voce: non era quello che aveva sperato, ma era sempre meglio di niente.

Prima di tornare in America, c'era ancora un debito da saldare. Hurt parcheggiò la macchina nel centro di Sligo e si diresse verso un palazzo d'angolo, suonò il campanello e si mise ad aspettare davanti alla telecamera. Passarono alcuni minuti ma lui rimase fermo, senza dar segno di volersene andare. All'improvviso una spia lo avvisò che qualcuno aveva finalmente alzato il citofono.
"Arrivo" disse una voce distorta dall'elettronica.
Hurt annuì e si spostò di alcuni passi dall'ingresso.
Myriam aprì la porta, uscì a braccia conserte e rimase sotto il portico. Squadrò Hurt dall'alto in basso, invitandolo a parlare. Indossava un maglione grigio a collo alto, e i riccioli rossi le pendevano scomposti sulle spalle.
"Mi spiace" cominciò il detective, prendendo il coraggio a due mani. "So che non mi sono fatto sentire per..."
"Non hai nulla di cui scusarti. Infatti non hai fatto nulla di male".
"Ascolta. Può darsi che io ti abbia usata, anche se non..." Hurt si interruppe, tentennò, non potendo rivelare per cosa l'avesse fatto. "Comunque ti ho ferita. Mi credi se ti dico che mi spiace?"
"Voi americani siete fatti così, no?" chiese Myriam con un gelido sorriso. "Andate dove volete e vi prendete quello che volete, senza pensare alle conseguenze".
Hurt si incupì e piegò la testa. "Non so per gli americani, ma su di me credo tu abbia ragione" ammise. Non seppe come continuare e rimase in silenzio, sentendosi gli occhi di lei addosso. Non era così che aveva sperato che andassero le cose.
In quel momento Daniel riuscì a sbloccare la sicura e a scendere dalla Toyota. Con la testa spinse la gamba di Hurt, avvisandolo che avrebbero dovuto muoversi se volevano prendere l'aereo.
"Quindi c'è davvero un cane" disse Myriam.
"Sì, se vogliamo chiamarlo cane" rispose Hurt, lieto di avere qualcosa da dirle. "Saluta, Daniel".
Daniel si sedette sul marciapiede e iniziò a scodinzolare. Per quanto Myriam cercasse di rimanere seria, non riuscì a trattenersi dal sorridere. "Mi piacciono i cani" disse.
"Questo è ben addestrato".
Myriam sbuffò, poi abbozzò un sorriso. "Senti, non ne parliamo più, ok?"
"Non avrei voluto farti del male" insistette il detective.
"Come se io non avessi mai fatto del male a nessuno. Non avevi alcun dovere nei miei confronti".
"Forse sì, invece".
"Certo che ce l'avevi". La ragazza si strinse nelle spalle. "Ma raramente le cose vanno come dovrebbero".
"Questo non mi scusa" osservò lui, cortesemente, accennando un timido sorriso.
Myriam lo studiò, cercando di capire se la stesse prendendo in giro. Decise per il no e sorrise a sua volta. "Almeno ti è piaciuta l'Irlanda?"
"Sì. Non è la prima volta che la visito".
"E l'altra volta perché sei venuto?"
"Per cercare qualcuno". Hurt non aveva più intenzione di mentirle, ma non per questo doveva dirle tutta la verità.
Ma Myriam abbassò lo sguardo. "Una donna?"
Lui si morse le labbra e annuì.
"E ora lei è...?" L'espressione sul suo volto era indecifrabile.
"Non mi è mai riuscito di trovarla".
Ti somigliava, pensò. Avevate gli stessi capelli. Ma questo non lo disse. "Ora devo andare" disse invece. La abbracciò, stringendola ai fianchi, poi le diede un bacio sulla guancia e si staccò. Si infilò in macchina e le fece un cenno con la mano.
"Ciao" disse la ragazza.
Il detective non le rispose, ma Daniel abbaiò. I due si allontanarono sulla strada lasciandola sola. Lei rientrò e chiuse il portone.
Ci mise alcuni istanti per rendersi conto che Hurt, abbracciandola, le aveva infilato qualcosa in tasca. Tirò fuori una lettera e se la rigirò tra le dita. Sulla busta c'era scritto, in brutta calligrafia: "Non ti ho ancora detto che trucco ho usato".
Myriam sorrise, pensierosa, poi strappò la busta e spiegò il foglio che conteneva. Gli dette una rapida occhiata e contrasse le labbra. Appallottolò la lettera, la lasciò cadere sul tappeto e si mise a guardare fuori dalla finestra, quella che dava sull'angolo.
Sopra di lei si stendeva il cielo d'Irlanda, e sotto di lei la sua terra magica. Sospirò stancamente e maledisse prima gli americani e poi tutti gli uomini: quelli che pensano a una cosa sola, quelli che non combattono per la donna che amano e soprattutto quelli che non sanno fare altro che mentire.
Dimenticata sul pavimento, la lettera accartocciata si dispiegò, lasciando per un attimo intravedere la scritta blu al suo interno.
Era vera magia, diceva solamente.
Myriam sospirò una seconda volta, aprì le ante della finestra per far cambiar l'aria e cominciò a preparare la cena. Qualcuno doveva pur comportarsi da persona normale, in quel mondo di pazzi.