martedì 25 marzo 2014

Editoriale 1


Da dove nasce un'idea? (e soprattutto: cos'è Jack Hurt?)

[Editoriale a cura di Stefano Mazzoni]




Ricordo il momento in cui ebbi l'idea di Jack Hurt come fosse ieri. Fu dieci anni fa. Quindi mettetevi comodi, perché questo lungo patchwork di ricordi sarà un piacere per me da scrivere e altrettanto, spero, per voi da leggere.
Il mio primo tentativo di romanzo fu un fantasy, poi una storia di pirati, poi un noir. Non ricordo molto di quest'ultimo, tranne il canovaccio e una scena fantastica in cui il protagonista, un ladro trasformista, si guardava allo specchio e dopo un lungo momento di introspezione si chiedeva chi fosse in realtà. Che l'avevano già usato una ventina di volte, ma per un ragazzo di dodici anni, credetemi, son soddisfazioni.
Il romanzo in sé avrebbe dovuto parlare di due ladri, maschio e femmina, destinati a battersi e infine a innamorarsi, assoldati da due ricche famiglie per recuperare un libro misterioso dagli strani poteri. Questa idea era nata unendo quella della vecchia serie Il Santo, di cui avevano realizzato una versione cinematografica con Val Kilmer, con quella de La Nona Porta di Roman Polański. Ecco, qui sta la risposta alla domanda "da dove è nata l'idea di Jack Hurt?" Dallo scontro di altre idee, solitamente migliori della mia.
Quel primo romanzo fu accantonato quasi subito. Negli anni successivi mi accaddero un certo numero di cose, come credo capiti spesso quando si parla di cose, e l'idea del romanzo fu ripresa e peggiorata. Non si trattava più di ladri rivali, ma di una coppia di detective appena minorenni, misteriosamente esentati dalla scuola dell'obbligo, e incaricati di trovare lo stesso libro di cui sopra. A dire il vero era pieno di vampiri: accadde prima che fossero di moda.
La colpa di questo tentativo di narrazione è di certo da attribuirsi a Buffy l'Ammazzavampiri, il capolavoro di Joss Whedon. Sì, lo so che voi hipster credete che Buffy sia un telefilm da ragazzine, qualcosa come i suoi epigoni Streghe o Smallville; ma, credetemi, vi sbagliate: Buffy è un telefilm brillante, ricco di battute, colpi di scena e personaggi a tutto tondo. La trama della seconda stagione rimane il punto più alto della storia delle serie televisive, a mio parere[1]. Il problema è che la guardavamo quando non potevamo capirla, da bambini. Quindi andate a ripescarla, invece di iniziare  l'ultima serie di J.J. Abrams, che tanto è il solito nulla cosmico; vedetevela fino alla quinta stagione e cercate di smetterla di fare gli stronzi. In lingua originale, che davvero il doppiaggio fu realizzato malamente, cambiando le battute che comunque non coincidevano col labiale. Da rimanere imbambolati.
Il secondo romanzo, comunque, quello di cui stavamo discutendo prima che io partissi a parlarvi dei fatti miei, lo scrissi quando avevo quindici anni, e me lo portai dietro fin verso i diciassette, correggendolo, ampliandolo, obbligando i miei amici a dirmi quanto fosse brutto - cosa che loro furono ben lieti di fare , tra l'altro (grazie, ragazzi).
Alla fine, fortunatamente, lo abbandonai.
Dallo scheletro del progetto nacquero però tre virgulti. Uno, la sceneggiatura di un fumetto (il cui nome, per quello che riesco a ricordare, era Hellgate), naufragò velocemente per incomprensioni con la disegnatrice, che tra l'altro è emigrata in Giappone e che saluto. L'altro, un racconto autoconclusivo di stampo lovecraftiano[2], mi ha portato a sviluppare quel poco di doti narrative che possiedo.
Negli anni seguenti la mia passione per il fumetto occidentale e per i telefilm è cresciuta in maniera esponenziale (insieme al mio successo con le ragazze, devo dire). Ebbro di tutti i Gaiman e i Moore e i Morrison e gli Whedon che potevo desiderare, con ben più di una spruzzatina di Garth Ennis e Jamie Delano e le repliche di Moonlighting[3] mandate a memoria, un giorno incappai nella seconda più grande serie televisiva di tutti i tempi: Doctor Who. E non parlo di quella cosa scialba e malscritta che è diventata sotto la gestione di Moffat, ma di quello che era Doctor Who all'alba della nuova serie, con Cristopher Eccleston nel ruolo del Nono Dottore e Russel T. Davis come sceneggiatore capo. Poi venne David Tennat e la migliore interpretazione del Dottore di sempre, o almeno dopo Tom Baker: il Decimo, che ha coperto tre stagioni e una serie di speciali e che, con la sua rigenerazione in Matt Smith, ha spezzato il cuore di tutti i fan.
(Forse sono un nostalgico.)
Per accorciare la storia, quindi, alla fine della settima stagione di DW (per inciso, quando viene introdotto il personaggio del War Doctor, interpretato da John Hurt), proprio mentre stavo rileggendo le ristampe della Doom Patrol di Morrison, mi venne l'idea di Jack Hurt.
A dire il vero l'incontro tra DW, il mai abbastanza elogiato Hellboy di Mignola, Morrison - in particolare il suo Animal Man - e i miei vecchi progetti, mi aveva già ispirato la serie di racconti dell'antesignano di Jack, il Professor Tempesta. Alieni, vampiri, vampiri alieni, Agarthi, demoni-rospo, Shamballa, viaggi nel tempo con zombie nazisti, metanarrazioni di metanarrazioni sono tutti motivi per cui il Professor Tempesta è stato messo da parte. Venne naturale, a quel punto, dopo la mia profonda delusione e la perdita di fiducia nelle mie capacità di narratore, cercare di alzare il tiro.
Perché non infilare nel progetto maggiori citazioni? Perché non trasformarlo in una prosa che strizzasse l'occhio sia al fumetto che al telefilm, i miei primi amori ricambiati, anche se alla fine Pacey non risponde mai alle mie chiamate? Perché non renderlo addirittura seriale, proprio come lo sono le sue fonti d'ispirazione? Un telefilm cartaceo, insomma. Che una volta si chiamava romanzo a puntate, o d'appendice, ma noi siamo ggiovani e di queste cose non sappiamo nulla.
Il nume tutelare e principale scrittore del genere è Charles Dickens - Dio lo abbia in gloria -; ma io volevo rifarmi a un altro genere di appendice, la letteratura pulp: i romanzi di Chandler e le loro controparti cinematografiche, Humphrey Bogart, gli Amazing Stories e le Weird Tales, i primi fumetti con gli investigatori dell'occulto Straniero Fantasma e Dottor Occult... Quindi feci quello che sono più bravo a fare: feci scontrare idee che altri avevano avuto, a loro volta riciclando idee preesistenti[4], e il risultato è stato proprio Jack Hurt.

Una sera dello scorso anno, dopo aver elaborato i primi tre racconti (che voi vedrete in questa serie, ma in un ordine diverso), contattai Marco Redaelli, delle cui abilità narrative avrete prova già tra un paio di episodi, e gli esposi la mia idea. Dopo i più che giustificati dubbi iniziali, Marco accettò di collaborare al mio progetto con l'entusiasmo di un lemming alla migrazione.
In passato avevamo già lavorato assieme a una raccolta di racconti gialli e a una saga fantascientifica che però non videro mai la luce, principalmente perché non avevamo idea di come renderle. Per me fu quindi naturale chiedere il suo aiuto: se quel giorno mi avesse detto di no, avrei probabilmente abbandonato il progetto. Ringraziamolo!
Col tempo a noi si sono affiancati altri scrittori: Sara Bardi, Federico Bortot e soprattutto Riccardo "Riccardone" "Grande Satana" Calandra, che figura come autore ospite ma che in realtà è stato essenziale come il caffè al nostro processo creativo.
La prima stagione di Jack Hurt si compone di quindici episodi più un pilota, ed è più o meno tutto quello che dovete sapere per ora. Se il feedback che riceveremo sarà positivo, sarà messa in cantiere anche una seconda stagione... Quindi sotto, coi feedback positivi!
Nei prossimi editoriali io e gli altri scrittori ci alterneremo con articoli di approfondimento, di discussione, e del perché sia sempre e comunque una cattiva idea accettare un progetto in cui figuro io come coordinatore. Questo per darvi una visione il più possibile completa di Jack e del suo mondo, e insomma per massimizzare il vostro godimento di lettori.

Per rispondere alla domanda iniziale, quindi, che comunque nessuno mi ha mai posto, "Da dove viene l'idea per Jack Hurt"... dallo scontro di idee migliori delle mie, da un romanzo che iniziai quando avevo dodici anni e dalla nostalgia dell'ultimo anno di università, che mi porta a cercar di realizzare i sogni che avevo da ragazzo. Scrivendo racconti che solo a un ragazzo, forse, potrebbero piacere.




[1] Sì, spero che la Mutant Enemy mi paghi per la pubblicità che le sto facendo.
[2] Tutti ne abbiamo scritti almeno due o tre, nella nostra vita: è una tappa obbligata per uno scrittore, come il primo bacio o la prima denuncia per atti osceni in luogo pubblico.
[3] Da non confondere con Moonlight, curioso incrocio tra il ciclo di Twilight e l'Angel della premiata coppia Whedon/ Greenwalt. Il Moonlighting in questione - conosciuto in Italia anche col titolo Agenzia Blue Moon - era una scoppiettante comedy drama ad ambientazione poliziesca, con un giovanissimo Bruce Willis e un'incantevole Cybil Shepherd a farla da mattatori. Imprescindibile per tutti gli intenditori.
[4] Nessuno ha più un'idea originale dal 408 d.C. Parafrasando William Morris, è il contributo del singolo autore a un soggetto l'unica originalità possibile. Questa può essere definita un'estetica: la sensibilità per fondere generi tanto diversi senza snaturarli è già arte.

Nessun commento:

Posta un commento