lunedì 9 giugno 2014

EPISODIO 12


Darkwater Falls [pt. 1]

[di Riccardo Calandra]




Fiori, rose, un profumo... Un profumo nauseante. Rose, fiori, Rosemarie. "BAM! PAZZESCO! Come se fosse di cartapesta, vero?" Un ponte sulle Alpi buca una tormenta che filtra la luce e sfoca i contorni; pianti e grida, un colpo di pistola risuona luminoso e si espande, poi milioni di colpi di pistola, un giglio esplode, e parla. La nostra risposta sarà speculare.
I sentieri si snodano, conducono al buio, alla ruggine; ricami intrecciati ancora inconclusi galleggiano nell'aria e si disfano. Manca una carta nel mazzo, manca un Arcano importante, un Arcano minore. Su ogni cosa l'immagine della torre urlante, il fulmine che la abbatte riversandone il contenuto per le strade  illuminate...
"Jack".
"Jack!"
Hurt aprì gli occhi lentamente, e cercò di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava. Si sentiva le palpebre pesanti.
"Jack, svegliati!"
La prima cosa che vide con chiarezza fu la sua bottiglia di whiskey. Iniziò a sbattere le palpebre, ripetutamente, cercando di eliminare la sensazione che producevano sui bulbi ancora secchi.
"Jack, se non ti alzi subito ti mordo, lo giuro".
Addormentarsi in ufficio... Un pensiero veloce come un ladro: Rosemarie non lo avrebbe permesso.
Ma in quel momento Daniel si mise ad abbaiare troppo forte per le orecchie del detective, che fu costretto a lasciare la bottiglia e a coprirle.
"Va bene, va bene! Checcazzo, ho detto che va bene!"
Le prime due parole erano uscite ruvide e impastate, ma ormai Hurt era sveglio.
"Devi guardare alla finestra. Guarda chi è tornato a trovarci". Il tono del cane era fin troppo compiaciuto: chiaramente sembrava aspettarsi un qualche tipo di reazione.
Hurt lasciò la scrivania appoggiandosi sul piano e si mosse verso la finestra. Mentre attraversava la sala fece scorrere una mano sui libri, sulle rilegature in pelle, indugiando sullo scaffale. Poi si appoggiò contro la finestra e guardò in strada.
"Daniel... È di nuovo qui".
"Certo che è di nuovo qui. Comunque" aggiunse, sbavando su tutto il pavimento, "visti i problemi che ci ha dato finora, fossi in te la castrerei".
"Non credo di potere".
"Almeno dammi il permesso di saltarle addosso".
Il detective sbuffò. "Non ho dato la mia anima per poi lasciartela sbranare".
"Vorresti saltarle tu addosso, eh?"
Hurt mosse la mano come se volesse scacciarlo. "Anzi, sono curioso di sapere cosa voglia stavolta".
Si girò, passò all'ufficio che era stato di Rosemarie e fece fare un giro alla chiave nella toppa, poi tornò indietro e, cercando di darsi un tono, si risistemò alla scrivania.
Per primo entrò uno stivale nero, quasi comicamente spesso, coperto di metallo e borchie. Subito dopo fu il turno di calze a rete strappate, gonna di pizzo, niente, un top nero borchiato e infine il viso.
"Ciao, Jack" disse Selene, accennando un mezzo sorriso. Si teneva con una mano allo stipite della porta, con la schiena arcuata e il petto all'infuori. Attorno a lei, non poté fare a meno di notare Hurt, aleggiava un leggero ma distinto odore di cannabis.
Hurt sbuffò piano mentre la bottiglia di whiskey che teneva in mano si inclinava leggermente. Il sigillo di Mnemosine doveva aver cancellato più dei ricordi della loro ultima impresa. Probabilmente, pensò Hurt, aveva cancellato anche un po' del buonsenso che era riuscito a ficcarle in testa.
"Ferma lì" disse, come colpito da un dubbio improvviso. "Perché sei qui?"
Le pupille di Selene erano normali - forse un po' dilatate, ma quello poteva essere effetto dell'erba. Il corpo d'altronde non pareva essersi irrigidito... La voce, sempre la stessa, era leggermente più alta del solito. E la mano fantasma non gli dava fastidio. Sembrava tutto a posto.
Sto diventando paranoico, si disse. Meglio paranoico che morto.
"Ho una cosa importante da dirti, Jack. Mi è arrivata..."
"Potevi scrivermi" disse lui, brusco. Si sorprese a provare un certo nervosismo.
"È troppo importante, e nessuno deve sapere. Non sono stupida. Se vuoi ascoltarmi, parliamo".
"Siediti". Hurt tese la bottiglia e indicò il vecchio divano su un lato dell'ufficio.
Selene si voltò, e incrociò lo sguardo di Daniel che la stava fissando. Il cane non disse una parola, ma socchiuse le palpebre.
"Prima cosa" disse Selene, cercando di ignorarlo, "dovresti smetterla con quella roba. Ma questa è una mia opinione".
Hurt si morse un labbro. Selene sostenne per un po' il suo sguardo, come se lo sfidasse a dire qualcosa, e infine riprese.
"Mi è arrivata un'informazione da un vecchio amico. Parlavamo via mail da un po' di tempo, era uno di quelli con cui avevo progettato di fondare una congrega wiccan. Fatto sta che il discorso si è spostato sui rituali di magia nera... Vendere l'anima, scambi e patti con i demoni".
Hurt si era fatto più attento ora, ma non voleva darlo a vedere, quindi appoggiò gli stivali sulla scrivania e si inclinò sulla poltrona con fare noncurante.
"Dove vuoi andare a parare?" chiese, ma la sua voce già tradiva una certa impazienza.
"Mi ha parlato di un posto. È un posto dove è custodita un'anima".
Le sopracciglia del detective si sollevarono. "Non si può custodire un'anima. Il trucco dell'ametista funziona per poco tempo. Le anime consumano tutto ciò che prova a contenerle, se non si tratta di un corpo umano". Si interruppe. "E anche quello, a ben pensarci, non dura in eterno. In ogni caso non ho intenzione di uccidere nessuno. Ho fatto quello che ho fatto".
Legato all'immagine dell'ametista era tornato anche il ricordo di King. Bevve un altro sorso, lungo, per scacciarlo.
"Io non lo so, Jack... non lo so. Questo mio amico è uno a posto, non mi direbbe mai bugie. Che motivo avrebbe?" Il suo sguardo si era addolcito, quasi avesse compassione di lui. Accavallò le gambe e sprofondò ancora di più nel divano. "Abita a Darkwater Falls. Non è lontano da qui. Possiamo andare a parlarci, se vuoi".
Complice il doposbronza, appena Hurt sentì nominare Darkwater Falls smise di ascoltarla. Il ricordo di quella città era un altro che in quel momento non avrebbe voluto avere. I corrimano arrugginiti tesi accanto ai ruscelli neri d'olio e rifiuti, le case accatastate le une sulle altre, intervallate a spazi desolati di cemento e asfalto; gli abitanti, scostanti e sempre indaffarati. Darkwater Falls non era quella che si diceva una bella città. Di colpo ad Hurt non parve poi tanto insolito che lì si potesse trovare un' anima libera, custodita, come diceva Selene...
"Custodita da chi?"
Selene smise di parlare. "Eh?"
"Quest'anima, chi la custodisce?" insistette Hurt, indicando un angolo della scrivania come se l'anima si trovasse proprio lì.
"Non so..." Selene abbassò lo sguardo e sembrò concentrarsi sul pavimento. Teneva le mani in grembo e continuava a staccarsi le pellicine con le unghie. "Pensavo potesse tornarti utile. Un'anima per un'anima, o qualcosa del genere".
Era lì per aiutarlo. A questa ragazza importava sdebitarsi, riparare all'errore che aveva compiuto. All'improvviso Hurt non si sentì più infastidito dalla sua presenza: lei lo capiva, perché anche lei era tormentata dal passato. Sarebbe stato un ipocrita a non darle una possibilità di redenzione.
"Possiamo andare a parlarci?"
Selene smise di colpo di tormentarsi le dita e sorrise.
"Sì, andiamo! Franz abita a Darkwater. Per questo mi fido. E poi sa moltissime cose, sai? Mi ha raccontato di aver evocato un demone minore - Furcas, si chiamava - e lui gli ha insegnato la chiromanzia, e non gli ha nemmeno chiesto nulla in cambio! E poi..."
Chiromanzia, l'arte di leggere la mano. Hurt sorrise mentre Selene continuava a parlare di Franz e a tesserne le lodi. Furcas era un Cavaliere infernale, e non avrebbe mosso un dito senza aspettarsi qualcosa in cambio, ma ad Hurt parve crudele distruggere in due parole qualcosa in cui lei riponeva tanta fiducia.
Frugò un attimo nel cassetto della scrivania mentre Selene ancora parlava, e senza essere visto si fece scivolare in tasca una fiaschetta di whiskey. Lo fece nascondendo il gesto con l'altra mano, che a tentoni cercava la Smith&Wesson. Un movimento automatico, che gli lasciava però una sensazione di vuoto sotto le dita. Aveva lasciato quel cassetto inutilizzato, in ricordo dei tempi andati. Aprì quello inferiore ed estrasse la sua nuova Colt Python. Gli sarebbe sembrato strano impugnare una Smith&Wesson che non fosse stata quella di Lilian.
Prima di uscire Hurt chiese a Daniel di restare. Quello sbuffò, si mise una zampa sul muso e la lasciò ricadere, e insomma si lamentò che lo lasciavano sempre indietro. Ma Hurt non voleva portarlo in quella città: sarebbe stato troppo facile attirare l'attenzione delle persone sbagliate, e portarsi dietro un famiglio non  avrebbe reso le cose più facili.

Erano giunti a Darkwater e si trovavano davanti al condominio di Franz. Di fronte a loro si stendeva un cortile ampio e cementificato dalle cui crepe spuntavano ciuffi di erba gialla... niente panchine, niente ornamenti di nessun tipo. Dietro il giardino sorgeva il palazzo vero e proprio, un muro nero le cui finestre si aprivano irregolarmente sulla facciata ammuffita, macchiate agli angoli da lacrime di umidità appese ai bordi dei davanzali. Le scale antincendio si reggevano a stento, arrugginite; tubi di ferro dalle funzioni sconosciute salivano negli spigoli e nelle rientranze e continuavano a scaricare vapore nell'aria. Molte delle finestre erano chiuse, e un'ala del palazzo sembrava abbandonata da tempo. Era difficile non guardare in alto mentre Hurt e Selene, una volta che Franz ebbe aperto il cancelletto, si avvicinavano al palazzo e ne venivano come avvolti.
Qualche rampa di scale dopo ("Io quella trappola non la prendo" aveva sentenziato Hurt, guardando l'ascensore grigio e il pulsante rosso di chiamata fratturato al centro) i due si trovavano finalmente davanti alla porta di Franz.
Il ragazzo confermava pressappoco tutte le aspettative del detective: dread biondi, barbetta caprina sotto il mento, una canottiera nera e pantaloni altrettanto neri, lunghi fuori misura, tanto da coprirgli i piedi.
Franz spalancò gli occhi appena vide l'ospite di Selene.
"Lei è Jack Hurt" disse. Non era una domanda.
Il detective non rispose, ma si tastò per sicurezza la fiaschetta sotto la giacca. Temeva di averne presto bisogno.
"Io sono il suo più grande fan! Selene, perché non mi hai detto che portavi...!" fece un gesto vago verso di lui, quasi non riuscisse a pronunciarne il nome. "Avrei messo in ordine! Mi perdoni - Dio che schifo..."
Franz si muoveva frenetico per la casa, spostando chili di riviste e parti di computer abbandonati qua e là. Ogni tanto lanciava a Selene uno sguardo carico di sottintesi, senza però riuscire a sollevare gli occhi su Hurt. 
Hurt non aveva ancora aperto bocca, ma anche lui guardava Selene con aria di rimprovero.
"Se te l'avessi detto, saresti voluto venire lo stesso?" disse lei sottovoce.
Hurt si strinse nelle spalle. La ragazza aveva ragione. Sperava solo che ne sarebbe valsa la pena.
Dopo dieci minuti si era liberato abbastanza spazio per permettere a tutti e tre di sedersi. C'erano due sedie e una poltrona intorno a un tavolo che ad Hurt parve una semplice lastra di metallo appoggiata su due treppiedi. Lui sedette sulla poltrona.
Franz, di fronte a lui, lo fissava con le palpebre ancora più tirate di quello che doveva essere il solito, e Selene aveva ripreso a tormentarsi le dita.
"Dai, Franz, raccontagli dell'anima!" disse.
"Non vuole qualcosa da bere prima? Tè? Caffè? Alcolici?"
Hurt fece un cenno come per dire che stava bene - anche se avrebbe gradito volentieri qualcosa di forte. Tuttavia lanciò un'occhiata a Selene e decise che poteva anche farne a meno.
"Selene mi ha parlato di te. Mi ha parlato di qualcosa che le hai raccontato, a dire il vero" precisò in fretta, indovinando il lampo di gioia negli occhi di Franz. "Un'anima integra, custodita da qualcuno... o qualcosa. Ora, te lo devo dire, io a questa storia non ho creduto". Hurt lo guardò negli occhi, la faccia atteggiata alla massima serietà, sforzandosi di non scoppiare a ridere. "Nonostante questo sono partito per incontrarti. Quindi parlami dell'anima. Dimostrami che mi stavo sbagliando".
Franz fece un mezzo sorriso e abbassò gli occhi per un attimo. "Se così stanno le cose, prima dobbiamo parlare del Violinista. È una storia che sicuramente non ha mai sentito. Non se ne parla troppo, perché a nessuno piace ricordare, ma a me la raccontava mia nonna quando ero piccolo. Penso che alla gente di qui piaccia usarla come sostituto dell'Uomo Nero, per spaventare i bambini.
"C'è stato un periodo in cui Darkwater Falls aveva il suo liutaio. L'uomo aveva un talento particolare per i violini: ne costruiva alcuni di altissima qualità, e li vendeva ai migliori musicisti del mondo. Sai, anche lui era un musicista, ma non granché apprezzato". La voce di Franz si abbassò di un mezzo tono mentre stava raccontando. "Da quando venne a vivere a Darkwater, però, il suo quartiere aveva iniziato a svuotarsi. Lei sa di che fama gode questa città: quindi immaginerà che sono poche le cose che possono impressionarci, almeno tanto profondamente da farci trasferire. Ma tutte le case attorno a quella del Violinista, dopo qualche anno erano vuote".
Franz si raddrizzò sulla sedia, si sistemò meglio e intrecciò le dita. Riprese: "Mia nonna diceva che la sua musica era capace di spaventare più di qualunque incubo. Quelli che se ne andavano raccontavano di suoni disumani, ululati e rintocchi prodotti da cose inimmaginabili. Per questo hanno iniziato a chiamarlo il Violinista Ululante, un nome che è rimasto negli anni.
"Alla fine, comunque, di lui non si è più saputo niente. Anche la sua casa è andata in rovina, e nessuno ci si avvicina più. Mia nonna però diceva che una bambina, che aveva disobbedito ai suoi genitori, era poi entrata una notte in quella casa. Pare sia proprio sua l'anima di cui il Violinista si è impadronito... e se questo è vero, allora dovrebbe averla custodita fino a oggi".
Hurt rimase in silenzio, poi abbassò le palpebre in modo che esse formassero una linea retta. Ora era sicuro di aver perso il suo tempo. Questa storia era proprio quello che sembrava: un racconto per far spaventare i bambini. Ne riconosceva gli elementi.
"Lo vedo che non mi crede, lo vedo". Gli occhi di Franz abbandonarono quelli di Hurt e si misero a vagare per la stanza. La sua voce si abbassò fino a diventare un sussurro. "Nemmeno io ci credevo: per questo ho deciso di andare a controllare". Gli occhi del ragazzo si fermarono sul vuoto. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere, e dovette compiere un notevole sforzo per continuare la storia.
"Io l'ho visto, signor Hurt".
L'espressione sul viso del detective si fece indecifrabile. Sicuramente il ragazzo credeva di dire la verità, ma tutto stava nel capire se quello che aveva visto fosse uno scherzo della sua immaginazione o meno. E per farlo conosceva un solo modo.
"Va bene, senti. Portami lì. Voglio vederci chiaro".
Franz si sentiva più sollevato ora che Hurt sembrava iniziare a credergli. Nonostante questo, mantenne la sua posizione sul bordo della sedia. Deglutì rumorosamente, e infine: "Va bene, andiamo" disse, come se questa decisione gli costasse un enorme sforzo.
Uscirono dal palazzo e si incamminarono lungo le strade di Darkwater. Il viaggio fu breve e silenzioso. Selene era tesa: chiaramente credeva alla storia di Franz molto più di quanto Hurt si sarebbe aspettato. Era un po' ingenua, questo sì, ma non stupida. Tuttavia non le disse nulla.
"Eccoci, signor Hurt. Siamo arrivati".
La villa era forse la cosa più strana che Hurt avesse visto in una città di quelle dimensioni. Sembrava come fuori posto, catapultata lì in seguito a qualche accidente spazio-temporale. Era circondata da un immenso cortile, anche quello cementificato e lasciato a sé stesso. Borse di plastica e rifiuti meno definibili lo ricoprivano in buona parte, sempre più radi man mano che si avvicinavano alla struttura. Qualcuno doveva aver usato quella zona come discarica pubblica, ma senza osare avvicinarsi. La casa in sé era un cubo a due piani, nero e bordato da una striscia bianca all'altezza del secondo piano. Le finestre erano sbarrate da pezzi di lamiera crepati. La porta invece sembrava ancora quella originale, di legno massiccio, ed era socchiusa.
"L'hai lasciata tu aperta, Franz, l'ultima volta che sei stato qui?" chiese Hurt, non aspettandosi nulla di buono.
"Io... Non ricordo" provò a scusarsi il ragazzo. "In realtà non ricordo bene quasi nulla del dopo. Sono scappato più in fretta che potevo. Non sono mai stato tanto spaventato in vita mia, signore, glielo posso giurare".
Su questo almeno Franz era sincero. Tant'è che rimase indietro mentre Hurt si avvicinava alla casa.
"Entro con te" disse Selene.
Hurt annuì. "Franz, tu aspettaci fuori. Se qualcosa dovesse andare storto stai pronto".
Franz aveva gli occhi spalancati. Sembrava tremare, anche se a quella distanza poteva essere solo una sua impressione. Hurt dette un'ultima occhiata all'esterno, prese un bel respiro e con Selene al fianco varcò la porta.
Subito, all'istante, quella si richiuse alle loro spalle. Il tonfo che produsse fece sobbalzare la donna, e contemporaneamente Hurt fu invaso da un pensiero che gli parve provenire da fuori della sua mente, come se qualcuno glielo avesse impiantato.
Devo uscire uscire subito Dio devo andarmene da qui. Controllò la porta: fortunatamente non era chiusa a chiave.
"Lo senti, Selene?" chiese dopo un po'.
Lei fece cenno di sì con la testa. Erano in una stanza completamente vuota, le pareti colavano muffa e il pavimento era coperto di vetri rotti e dei sassi usati per romperli. Filtrava pochissima luce dalle lastre che coprivano le finestre.
Man mano che gli occhi di Hurt si abituavano al buio il detective si accorse di una figura nera, ferma al centro della parete di fronte a loro. Ma la mano fantasma rimaneva quieta nella tasca del suo soprabito.
"Jack, cos'è?" chiese Selene in un sussurro.
Uscire uscire da qui devo andare morirò qui e Selene con me non di nuovo ti prego Rosemarie nessun altro deve morire per causa mia.
Hurt le fece segno di rimanere ferma. Nel silenzio assoluto i vetri rotti scricchiolavano sotto i suoi piedi mentre egli si avvicinava alla figura in nero. Arrivava quasi a toccare il soffitto, e rimaneva immobile, come se fosse in attesa di qualcosa. Il detective tentò di scacciare i pensieri insistenti che gli dicevano che era meglio scappare.
È lui sì e lui porterà via ogni cosa ogni cosa a me cara Dio non voglio vederlo non voglio avvicinarmi.
Continuò a camminare finché non fu abbastanza vicino da distinguere meglio la sua sagoma. Era un telo nero, pesante. Copriva qualcosa.
I pensieri diventavano sempre più forti, sempre più insistenti man mano che avanzava. Resistere era quasi impossibile.
Non devo toccarlo NON DEVO MORIRÒ NON DEVO VEDERE COSA SI NASCONDE QUI SOTTO MAI MAI.
L'urlo di Hurt frantumò il silenzio mentre con un unico movimento afferrava il telo e lo gettava di lato.
Un orologio a pendolo. Ebano puro, quadrante d'avorio, l'unica traccia di bianco nella stanza.
Sorrise. Nulla di cui preoccuparsi. Alla fine era davvero solo una storia. Franz aveva visto il telo e come lui si era lasciato spaventare, suggestionare dall'atmosfera del luogo e dai suoi stessi racconti.
Ora sentiva anche una forte delusione. Alla fine aveva voluto crederci, anche se solo per un attimo. Nonostante ciò fu con sollievo che si girò verso Selene.
"Puoi venire. È tutto tranquillo. È solo un..."
Il primo rintocco spezzò la quiete della casa.
Adesso Selene era riversa a terra, pallidissima, gli arti contorti in posizione quasi innaturale. Era coperta di piccoli tagli.
La mano fantasma iniziò a prudere fino quasi a fargli male. La stanza si fece buia, nera, soffocante. I rintocchi invadevano ogni angolo, gli trafiggevano i timpani, gli colpivano con forza la scatola cranica: non c'era modo di sfuggire. Cadde in ginocchio.
NON DOVEVI TOCCARLA JACK NON DOVEVI IO TI HO AVVISATO NON DOVEVI ORA È TARDI. Hurt cercò di trascinarsi a terra, verso Selene. Doveva portarla fuori di lì. I frammenti di vetro gli tagliavano le mani, e i movimenti diventavano sempre più difficili da compiere. Alla sua sinistra una porta iniziò a sbattere, mostrando a intermittenza un rettangolo della stanza a fianco, una tavola coperta di argenteria arrugginita.
STO ARRIVANDO STO ARRIVANDO NON SCAPPARE  IO TI ODIO IO NON TI LASCIO USCIRE JACK NON C'È NIENTE FUORI NON C'È NIENTE QUI.
I pensieri del Violinista gli sferzavano la mente come frustate, facendolo vacillare. Qualcosa si avvicinava dalla stanza con la tavola imbandita, a tonfi pesanti che sembravano cadaveri scaricati sul cemento.
Hurt si trovava accanto a Selene. Riuscì a mettersi in piedi mentre i vetri intorno a lui vibravano al ritmo dello sbattere della porta.
Raccolse la ragazza e la strinse fra le braccia. Gli occhi le si erano rovesciati all'indietro e non dava segni di vita. Hurt urlò in direzione della porta, e proprio in quel momento essa smise di sbattere.
"Vattene! Tu sei morto!" disse. "Non sei più di questo mondo! Segui la via che avresti dovuto seguire anni fa e libera i vivi dalla tua presenza!"
All'improvviso nella casa tornò il silenzio. Poi un suono basso, rauco. Era la risata di un malato terminale: soffocava nei colpi di tosse, eppure si ostinava a ridere.
"Io non sono morto, Jack. Conosci la mia storia, eppure sai così poco di me. Mi credi un fantasma? Ti sbagli".
La porta della sala da pranzo si aprì di schianto, e sbatté tanto forte da far vibrare i muri. Quella che pareva un'ombra umana avvolta su se stessa si lanciò verso il detective, con la testa fatta di denti. Da quello che sembrava il suo braccio, Hurt riuscì appena a notare, sporgeva una struttura ossea innaturale, fusa con la mano che la reggeva.
Il detective aprì la porta d'ingresso con un calcio. Appena la figura gli fu addosso perse completamente il controllo. Riuscì a fare un solo passo verso l'esterno prima di cadere in avanti, con Selene ancora stretta tra le braccia.
Da quel momento non vide più nulla.

4 commenti:

  1. Ma, ma, ma, ma... Non mi può finire così il racconto.... Comunque bel racconto ragazzi ancora complimenti ;)

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    1. Infatti non è finito! Noterai bene che nel titolo è segnato che questa è solo la prima parte. Settimana prossima vedrai come finisce!

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    2. Mea culpa che non ho letto il titolo :P
      Ero troppo desideroso di leggere il racconto XD

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    3. Non si fa così comunque, mi sto mangiando il fegato dall'hype

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