Cani & pistole
[Editoriale a cura di Marco Redaelli]
Ero nel bel mezzo di un blocco dello scrittore la prima volta che sono venuto in contatto con Jack.
Il romanzo che stavo scrivendo non sembrava andare da nessuna parte. L’idea
di buttar giù anche solo una o due parole mi metteva addosso una pesantezza
insopportabile. Poi ecco Stefano che, dal nulla, mi propone di scrivere la
storia di questo strano detective dell’occulto.
Un altro Dylan Dog? All'inizio ero un po’ perplesso: l’idea non mi
pareva delle più originali. Però, appunto, con quello che stavo scrivendo ero
impantanato, quindi gli ho detto “Passa qua!” e ho iniziato a leggere i suoi
tre racconti.
Una boccata d’aria fresca. La storia era leggera, divertente ma con
spunti interessanti: lavorarci mi avrebbe permesso di spaziare fuori dal mio
genere e allenarmi nella stesura di racconti brevi. Era quello di cui avevo
bisogno.
Il mio Jack ha finito con l’ispirarsi ad altri personaggi, rispetto a
quelli da cui ha tratto ispirazione Stefano. Molto di lui nasce da Roland
Deschain della saga della Torre Nera di Stephen King, l’ultimo cavaliere di un
mondo che è scomparso, e da Dean Winchester del telefilm Supernatural, il mio
punto di riferimento quando si parla di dar la caccia a mostri. La cosa interessante
è che questi aspetti non erano in contrasto con quelli originali; anzi, erano come
diverse sfaccettature di un unico personaggio, come fosse stata proprio questa
la nostra idea dall'inizio e non ci fossimo invece affidati all'improvvisazione
(noi siamo professionisti, a casa non fatelo).
L’ultimo racconto che avete letto, “Jack Daniel’s”, è il primo che ho
scritto. Avevo bisogno di rendere mio il
buon Jack, trovare un punto di aggancio tra la creatura di Stefano e il genere
che mi viene meglio raccontare. Coi gialli e le indagini non mi sono mai
trovato a mio agio; al contrario la componente sovrannaturale mi è più consona,
e in Hurt ho subito notato una intollerabile mancanza di demoni. Per lo stesso
motivo gli ho anche dato la mano fantasma... volevo enfatizzare il fatto che,
prima ancora di essere un investigatore, Jack è un mago.
Pensavo sarebbe stato divertente partire da qualcosa di apparentemente
innocuo, come un animaletto scomparso, per passare a un’escalation di
situazioni alla fine delle quali l'anima stessa di Jack fosse in pericolo. Ed è
qui che emerge per la prima volta il suo spirito di sacrificio,
autodistruttivo, e il suo desiderio di punirsi per ciò che ha fatto o per ciò
che non è riuscito a fare.
Poi c’è il cane. In origine doveva essere una capra, ma le capre più
che ruminare e mangiare spazzatura non fanno. Ho accarezzato la possibilità di
farlo diventare un cinghiale, perché a tutti piacciono i cinghiali, ed è
inutile Stefano che tu scuota la testa, è così; ma ancora non sembrava giusto.
Il cane alla fine mi è parsa la soluzione migliore. L’idea era che sparisse
alla fine della storia, ma poi ho pensato che dare a Jack un compagno/spalla
comica non potesse che giovare a tutti.
Scrivendo “Jack di Fiori” intendevo invece rispondere a un'interessante
domanda: chi è Jack Hurt in realtà? Avevamo scritto un sacco di scene di azione
e mistero per lui, ma il suo lato emotivo e il suo passato rimanevano un enigma.
Ne ho approfittato per dare un po’ di colore alla pistola - ogni eroe che si
rispetti deve possedere un’arma con una storia intrigante alle spalle - e a
Rosemary, per trasformarla in qualcosa di più di una comparsa.
Prima di scrivere questo racconto mi ero imbattuto per caso nella
leggenda di Gawain e del Cavaliere Verde, e ho pensato potesse essere carino renderla
più alienante e adatta alla nostra serie.
Quindi ora il nostro Jack ha una mano fantasma, una pistola, un
passato tragico, una inspiegabile passione per la danza e un cane parlante. Gli mancano un cappello e
il superpotere del volo per essere perfetto.
E un t-rex, naturalmente. Il t-rex è fondamentale. Ma andate a
spiegarlo agli altri sceneggiatori.
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