mercoledì 16 aprile 2014

Editoriale 4


Cani & pistole

[Editoriale a cura di Marco Redaelli]




Ero nel bel mezzo di un blocco dello scrittore la prima volta che sono venuto in contatto con Jack.
Il romanzo che stavo scrivendo non sembrava andare da nessuna parte. L’idea di buttar giù anche solo una o due parole mi metteva addosso una pesantezza insopportabile. Poi ecco Stefano che, dal nulla, mi propone di scrivere la storia di questo strano detective dell’occulto. 
Un altro Dylan Dog? All'inizio ero un po’ perplesso: l’idea non mi pareva delle più originali. Però, appunto, con quello che stavo scrivendo ero impantanato, quindi gli ho detto “Passa qua!” e ho iniziato a leggere i suoi tre racconti.
Una boccata d’aria fresca. La storia era leggera, divertente ma con spunti interessanti: lavorarci mi avrebbe permesso di spaziare fuori dal mio genere e allenarmi nella stesura di racconti brevi. Era quello di cui avevo bisogno.

Il mio Jack ha finito con l’ispirarsi ad altri personaggi, rispetto a quelli da cui ha tratto ispirazione Stefano. Molto di lui nasce da Roland Deschain della saga della Torre Nera di Stephen King, l’ultimo cavaliere di un mondo che è scomparso, e da Dean Winchester del telefilm Supernatural, il mio punto di riferimento quando si parla di dar la caccia a mostri. La cosa interessante è che questi aspetti non erano in contrasto con quelli originali; anzi, erano come diverse sfaccettature di un unico personaggio, come fosse stata proprio questa la nostra idea dall'inizio e non ci fossimo invece affidati all'improvvisazione (noi siamo professionisti, a casa non fatelo).
L’ultimo racconto che avete letto, “Jack Daniel’s”, è il primo che ho scritto.  Avevo bisogno di rendere mio il buon Jack, trovare un punto di aggancio tra la creatura di Stefano e il genere che mi viene meglio raccontare. Coi gialli e le indagini non mi sono mai trovato a mio agio; al contrario la componente sovrannaturale mi è più consona, e in Hurt ho subito notato una intollerabile mancanza di demoni. Per lo stesso motivo gli ho anche dato la mano fantasma... volevo enfatizzare il fatto che, prima ancora di essere un investigatore, Jack è un mago.
Pensavo sarebbe stato divertente partire da qualcosa di apparentemente innocuo, come un animaletto scomparso, per passare a un’escalation di situazioni alla fine delle quali l'anima stessa di Jack fosse in pericolo. Ed è qui che emerge per la prima volta il suo spirito di sacrificio, autodistruttivo, e il suo desiderio di punirsi per ciò che ha fatto o per ciò che non è riuscito a fare.
Poi c’è il cane. In origine doveva essere una capra, ma le capre più che ruminare e mangiare spazzatura non fanno. Ho accarezzato la possibilità di farlo diventare un cinghiale, perché a tutti piacciono i cinghiali, ed è inutile Stefano che tu scuota la testa, è così; ma ancora non sembrava giusto. Il cane alla fine mi è parsa la soluzione migliore. L’idea era che sparisse alla fine della storia, ma poi ho pensato che dare a Jack un compagno/spalla comica non potesse che giovare a tutti.

Scrivendo “Jack di Fiori” intendevo invece rispondere a un'interessante domanda: chi è Jack Hurt in realtà? Avevamo scritto un sacco di scene di azione e mistero per lui, ma il suo lato emotivo e il suo passato rimanevano un enigma. Ne ho approfittato per dare un po’ di colore alla pistola - ogni eroe che si rispetti deve possedere un’arma con una storia intrigante alle spalle - e a Rosemary, per trasformarla in qualcosa di più di una comparsa.
Prima di scrivere questo racconto mi ero imbattuto per caso nella leggenda di Gawain e del Cavaliere Verde, e ho pensato potesse essere carino renderla più alienante e adatta alla nostra serie.
Quindi ora il nostro Jack ha una mano fantasma, una pistola, un passato tragico, una inspiegabile passione per la danza e un cane parlante. Gli mancano un cappello e il superpotere del volo per essere perfetto.
E un t-rex, naturalmente. Il t-rex è fondamentale. Ma andate a spiegarlo agli altri sceneggiatori.

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