Alla fine del giorno
[di Stefano Mazzoni]
I tre videro un fulmine colpire il muro che dava a occidente. I
mattoni crollarono, lasciando in vista il labirinto interno. Gli altri muri si
ripiegarono su loro stessi e precipitarono mentre l'incendio consumava
l'ossatura in legno. Lentamente, mentre gli incubi urlanti dell'Alveare
cercavano di scappare, la torre si abbatté al suolo; ma i sigilli dell'Eremita si
attivarono e li confinarono all'interno del crollo, e di loro non rimase altro
che i resti schiacciati sotto le rovine.
Finalmente, giunti a distanza di sicurezza, i tre si fermarono. La Forza
cadde a terra, col respiro corto, cercando di riposare, i capelli rossi sporchi
di sangue. Il Cavaliere di Coppe si piegò in due, con le mani sulle ginocchia.
Solo l'Eremita parve ancora in grado di camminare, la sua bassa sagoma
appoggiata a un semplice bastone da passeggio.
"Sei stato bravo, Cavaliere" disse. "Là dentro. Non
avremmo potuto battere l'Alveare senza di te".
Il Cavaliere di Coppe non alzò gli occhi da terra. "Il Bagatto è
morto" sussurrò, frustrato, stringendo i pugni.
"Si è sacrificato per salvarci. Era un uomo d'onore".
"Non l'avrei creduto" disse la Forza, ma si morse le
labbra. L'Eremita le tese una mano e lei l'afferrò per aiutarsi a mettersi in piedi.
"Coraggio" disse il vecchio. "La Città delle Urla
è caduta. Torniamo alla luce del Mondo".
La donna sorrise e lo seguì dove lui la conduceva. Il Cavaliere
lasciò che i due Maggiori lo distanziassero di qualche metro prima di seguirli;
poi, all'improvviso, gli parve di catturare un movimento con la coda
dell'occhio. La mano gli corse alla Smith&Wesson nella fondina.
L'ombra parve condensarsi e assumere forma umana, e lo guardò dritto
negli occhi.
Il Cavaliere abbassò la mano.
"Io ti conosco". All'improvviso gli mancò il fiato.
PROLOGO 2: Adesso.
Jack Hurt entrò nella capanna, accese un mazzetto di salvia e attese
che il fumo invadesse la stanza. Dopo qualche secondo sentì qualcosa che strillava e strillava ancora, con una voce fastidiosa, e dentro una teiera trovò un
omino verde non più grande di uno scoiattolo. Lo raccolse con una pinza di ferro
dolce.
"Lasciami andare!" urlava la creatura. "Lasciami, o ti
tirerò gli alluci nel letto fino al giorno della tua morte e... e caglierò
tutto il tuo latte e infesterò tutta la tua frutta..."
"Non farai nulla di tutto questo" lo interruppe il detective. "Invece, com'è d'uso tra la tua gente, te ne andrai
a farti fottere".
L'omino incrociò le braccia e lo fissò con aria truce. "Lo
dirò al Principe d'Autunno" lo avvertì. "E tutta la Corte delle Corna
ti sarà addosso prima che tu possa dire Inghilterra".
"Per me puoi dirlo anche a sua maestà la regina Maab, o a re
Auberon o al Re Pallido, se è ancora vivo. Non fa alcuna differenza. Non temo la vendetta del Popolo". Si arrotolò la manica sul braccio e mostrò al
folletto un piccolo tatuaggio. L'inchiostro, per così dire, era ancora fresco,
come se se lo fosse appena fatto, ma il sigillo era quello della famiglia reale
di Faerie. Il mortale era protetto da un patto, dovette ammettere controvoglia.
"Ora, fuori di qui" disse Hurt. "Io ti bandisco per il
vischio e l'agrifoglio, per il cervo e per... be', per..." Tentennò, e
dopo aver fatto uno sforzo di memoria capì che non ricordava come andava avanti. "Oh, al diavolo! Tanto
hai capito. Vattene e non farti più vedere" disse, e aprì la pinza. Il
folletto fece per cadere a terra, ma strabuzzò gli occhi, arricciò il naso e
scomparve in una nuvola di fumo.
Hurt rimase un attimo a fissare la capanna, cercando qualcos'altro che
fosse fuori posto. Non trovando nulla, soddisfatto del proprio lavoro, abbassò
le tenaglie e uscì.
"Tutto bene" disse.
"Finalmente!" rispose entusiasta la voce di una ragazza.
La sua cliente era bassa, giovane, con i capelli oro pallido raccolti
in una treccia. Gli saltò al
collo e gli baciò il naso.
"Non so cosa avrei fatto senza
di te".
"Oh, è stato facile" si schernì lui. "Se la sarebbe
potuta cavare persino un prete".
"Quando mio nonno mi ha lasciato questa baita, non avrei mai
creduto..."
"Lavoro spesso con le eredità" disse il detective.
"Nessuno crede".
Già pregustava il resto del pomeriggio con la sua cliente, magari un caffè e da cosa nasce cosa, ma all'improvviso qualcosa in mezzo agli alberi attirò la sua attenzione, e gli parve che qualcuno lo stesse tenendo d'occhio da un pezzo. Socchiuse le
palpebre per impedire ai riflessi di accecarlo, con una mano spostò la ragazza (che intanto lo fissava senza capire) e fece un passo avanti.
"Un momento" disse all'ombra che si nascondeva tra gli
alberi. "Io ti conosco".
Vent'anni fa.
Il ragazzo stava uscendo da scuola. Afferrò la mano del suo papà e la
strinse forte mentre quello lo guidava alla macchina. A casa, sua madre lo stava
aspettando col fratello e la merenda pronta. Pane e cioccolata e marshmallow,
forse, se era una giornata fortunata.
All'improvviso qualcosa si frappose fra lui e il sole e gli fece
ombra. Suo padre si fermò in mezzo alla strada e il bambino alzò lo sguardo.
Passò qualche istante prima che si abituasse all'aura che l'uomo aveva
alle spalle. Il sole gli incorniciava la nuca come a un santo cattolico. Era
alto, magro, con la barba grigia e i capelli stopposi, e aveva la pelle scura e
il volto bruciato dal sole. Sul suo corpo erano state tracciate molte forme
con una pittura bianca che già si stava scrostando; simili, gli parve, a serpenti e lucertole,
e ad altre cose meno comprensibili. L'uomo indossava un paio di vecchi jeans,
ma dalla cintola in su era completamente nudo. Una rada peluria bianca gli
sporcava il petto. In una mano teneva un bastone intagliato con gli stessi
simboli che gli decoravano la pelle.
Il bambino si nascose dietro le gambe del padre e gli strinse la mano
più forte, ma quello non si mosse. Alzò gli occhi su di lui: il suo volto
era una maschera fissa, immobile. All'improvviso lo prese una paura che non
aveva mai provato prima. La paura di essere rimasto solo al mondo.
Lo sconosciuto gli si inginocchiò davanti e lo guardò dritto negli
occhi. "Buona giornata a te, giovane Jack" disse in tono conciliante,
e senza sapere perché il bambino ebbe un po' meno paura. "Credo sia giunto
il tempo per noi di parlare".
Adesso.
"Mi ricordo di te" disse Hurt allo sciamano. "Sei
venuto da me quando ero un bambino... Non so perché me ne ero
dimenticato".
Aveva lasciato la sua cliente alla baita e si era allontanato nei
boschi con lui. Ora erano fermi, il detective appoggiato contro il tronco
di un pino, a fumare una sigaretta, e l'altro seduto su una pietra piatta, il
bastone magico al sicuro al suo fianco.
Lo sciamano non rispose, ma allungò il braccio e tese l'indice e il
medio verso di lui. Il detective ci mise un attimo a capire che gli stava
chiedendo una sigaretta. Sorridendo gli porse la sua.
"La mia iniziazione" continuò Hurt. "Tu eri venuto per
la mia iniziazione. Ma la ricordo appena". Lo studiò con sospetto mentre quello
sbuffava una nuvola di fumo. "Perché sei tornato?"
Lo sciamano lo fulminò con lo sguardo. "Se fossi ancora un
bambino ti darei una bella bastonata" disse. "Per la stessa cosa, che altro? La tua iniziazione".
"Avvenne molto tempo fa" disse Hurt.
"L'iniziazione di un mago non finisce mai, perché avviene al di fuori fuori
del tempo. Non te l'ho ancora insegnato?"
Trentacinque anni nel futuro. La Terra.
Il vecchio risalì il crinale e si issò a fatica
con la sola mano rimasta, mentre il moncherino dell'altra gli pendeva inerte dal
braccio. Il porpora dell'incendio di Las Vegas si vedeva fin da lì, e
tingeva la notte di uno strano colore sanguigno. Più a est, anche l'Ultimo Porto Libero cadeva sotto le marce
dell'Alveare... Iniziava quel giorno il regno degli dèi-macchina sulla Terra.
La roccia sotto di lui tremò mentre un metacarro si avvicinava. Il metacarro sollevò la testa oltre l'altura e il vecchio poté guardarlo negli occhi. Si teneva appoggiato ai lunghi arti anteriori, e le unghie d'acciaio artigliavano il
terreno riarso del Nevada.
Il metacarro era un modello vecchio, tra i primi che i
Nidi dell'Alveare avevano prodotto. Gli arti posteriori erano cingoli logori che spingeva a forza di braccia. Ci mise un po' a collegarsi al database e ad attivare il sistema vocale. Il vecchio
ebbe tutto il tempo di tastarsi la giacca, estrarre un contenitore arancio,
stapparlo e farsi scivolare in mano due pasticche colorate.
"S-s-soggetto Hurt. I-i-il Panopticon vuole vederti".
Hurt prese le pillole e le mandò giù senza fiatare, quindi rivolse il suo
sorriso sdentato al metacarro. "Direi di non farli aspettare, allora".
Adesso.
"Perché hai scelto me?" chiese Hurt. "Prima di
incontrarti non mi era mai capitato di interessarmi di magia. Perché proprio me, tra tutti i
bambini?"
Lo sciamano mise entrambe le mani sulle ginocchia e, con un suono di
ossa che scricchiolano, si rialzò in piedi. "Non ti ho scelto io. È la Sorellanza Bianca ad avermi indirizzato fino a te. Io ho solo fatto il mio lavoro".
Hurt aggrottò un sopracciglio. "Perché? Cosa si
aspettano le Vecchie Madri?"
Lo sciamano si grattò la fronte. "Posso solo fare supposizioni. Quando
si combatte su scacchiere che non sono fatte di spazio ma anche di tempo, chi può dire
quale sia la portata delle singole mosse?"
Si erano spostati, entrando più a fondo nel bosco. Il sentiero si
faceva più selvaggio man mano che procedevano. A tratti Hurt
aveva la certezza che avrebbe trovato più sicurezza sull'erba che non su
quella terra ripida, friabile, ma lo stesso non osò abbandonare il sentiero di un passo.
"Posso mostrarti tutto, però" disse lo sciamano. "Per questo sono
qui. Per condurti nel Tempo del Sogno".
Hurt sbuffò. "Cosa ne sapranno mai i vecchi eroi
australiani dei motivi delle Madri?" Si chiese dove stessero andando, e all'improvviso si sorprese a valutare la minaccia che avrebbe potuto rappresentare il
vecchio, se avesse tentato qualche scherzo. Non credeva fosse una trappola, ma
lì, nel fondo del bosco, non poteva scacciare una sensazione di pericolo
imminente.
Lo sciamano si fermò di colpo, e per poco Hurt non gli inciampò
addosso. "Il Tempo del Sogno non è un passato mitico, giovane
detective" disse. "Né un'altra dimensione. Quando noi raccontiamo le
storie del Tempo del Sogno, raccontiamo storie che ancora non sono
successe. Questo è uno dei grandi segreti del mio popolo".
"Tu vuoi... vuoi portarmi nel futuro?"
Il vecchio annuì, lentamente. "Io sono qui per concederti quello
che viene concesso a tutti i maghi, prima o dopo. La Rivelazione". Lo
guardò e scosse la testa. "I nomi ombra che ci scegliamo non
sono solo ninnoli da mostrare con orgoglio, ragazzo. Essi determinano il nostro destino.
C'è da chiedersi perché alla fine tu abbia scelto Hurt".
Lo sciamano tese il bastone prima che il detective potesse rispondere,
poi lo sollevò di scatto. Fu come se la realtà fosse dipinta su un telo ed
egli ora lo stesse sollevando. Gli alberi e le montagne sullo sfondo apparivano
come spiegazzati lungo i bordi, e, oltre, una notte buia di luna piena,
rischiarata in lontananza da un fuoco, attendeva Hurt e la sua guida.
"Quando capisci che il tempo e lo spazio sono solo illusioni"
disse. "Capisci anche che tutti sono uno. Che tutti i maghi
sono in realtà un solo mago". Lo sciamano lo fissò, scuro in volto. "Cerca di tenerlo
bene a mente, lì dove siamo diretti".
Hurt annuì e, trattenendo il fiato, fece un passo in avanti.
Trentacinque anni nel futuro. La Terra.
Il vecchio era richiuso in una cella scavata direttamente nella roccia, con un po' di
paglia sul pavimento per dormire e un secchio maleodorante per i bisogni.
Ora, con il labbro spaccato e la sensazione di piccole cose pelose che gli correvano sotto la
pelle, Hurt si sforzava di reprimere i brividi e di dormire per qualche ora.
Qualcuno si stava avvicinando alla cella. Era un uomo alto, esile, con
folti riccioli castani che gli incorniciavano il bel volto da ragazzo. Indossava con orgoglio un
cilindro, un completo nero e un paio di guanti di velluto.
"Eccolo qui" disse il Settimo, con una nota di derisione
nella voce altrimenti piatta. Negli anni non era invecchiato di un giorno. "Ti
saluto, oh grande Jack Hurt... alfiere di Choronzon e Distruttore
dell'Alveare".
Il detective, aiutandosi con la mano buona contro la parete, si alzò
dal pagliericcio e si spostò verso la porta.
"Te l'avevo detto che mi sarei vendicato. Avresti dovuto
uccidermi assieme ai miei fratelli, quella notte".
Hurt ammiccò da dietro le sbarre.
"C'è sempre tempo" disse.
Il Settimo parve non dar peso alla sua minaccia. "Sei una
specie di leggenda qui, sai? Lo immagini come ti chiamano, i piccoli costruttori dei Nidi?
Il Fantasma Monco, il Proiettile nelle Tenebre. Hanno tutti molta paura di te, e di
quello che hai fatto in questi anni... Tutti tranne me".
"Allora sei uno stupido. Tu dovresti avere più paura di tutti".
La creatura scoppiò a ridere, fece due passi indietro ed estrasse una
pistola, una piccola Beretta. Non poteva ucciderlo prima che il Panopticon lo
avesse interrogato, e questo Hurt lo sapeva; tuttavia egli seguì le sue mosse con ansia crescente.
"Credo tu non capisca bene la tua situazione" disse il Settimo in tono di trionfo. "L'Ultimo Porto Libero è caduto ieri notte. Le fucine dei Nidi
stanno già creando robot-razzo per attaccare le colonie. E presto, molto presto, quando le
avremo conquistate, costruiremo giganteschi fioroni da mandare nello spazio e cospargerlo
col nostro seme. Prosciugheremo le risorse della Terra e la lasceremo grigia,
arida e piena di cenere, come un uovo vuoto che ha finito il suo compito. E tu,
nonostante tutto, credi ancora di poterci sconfiggere?"
Il vecchio accentuò il suo sorriso, e sul volto gli si dipinse un'espressione
carica di sottintesi.
"Cosa ti fa essere così fiducioso?"
"Perché tutto questo io me lo ricordo".
Un colpo di Smith&Wesson passò da parte a parte il Settimo, che cadde sul pavimento di pietra.
"Te l'avevo detto che c'era ancora tempo" disse il vecchio
sogghignando, ma il Settimo non poteva più sentirlo.
Dall'ombra in fondo al corridoio uscirono le sagome del giovane Hurt e
dello sciamano, tremolanti alla luce dei neon. Si fecero avanti verso il
cadavere, e il giovane si voltò per osservare il vecchio.
"Così sei arrivato" disse lui, in assoluta calma.
"Cominciavo a non crederci più. Non è così che andava, come la ricordo... non
precisamente. Ma il tempo è più malleabile di quanto mi augurassi".
Il giovane Hurt si fece avanti per aprire la cella. Armeggiò un po'
con la serratura, poi: "È magica" disse.
"Davvero?" Il vecchio ghignò. "Credi non ci abbia già
provato?"
Hurt arrossì ed estrasse la pistola, quindi fece saltare la serratura.
La porta si aprì cigolando e il vecchio fu di nuovo libero. Subito uscì dalla cella e si chinò sul cadavere del Settimo; gli prese
la pistola e la strinse tra le mani.
"Una Beretta" disse, con evidente disappunto. "La pistola del
povero Ethan".
Il suo sé di trentacinque anni prima lo guardava con interesse. Il
vecchio alzò lo sguardo sullo sciamano. "Proprio tu, amico mio" disse. L'altro annuì cordiale, ma rimase in silenzio, sempre appoggiato al suo
bastone.
Il vecchio notò che il ragazzo gli stava fissando il moncherino. "Non guardarmi così. L'incantesimo
della mano fantasma ha iniziato a perdere efficacia nel corso degli anni". Parlava con noncuranza. "Come molte altre cose, suppongo".
"Cos'è successo?"
"A questo mondo, intendi?" A fatica il vecchio si rimise in
piedi, poi fece un ampio gesto con il braccio indicando le pareti di pietra.
"Quello che succede sempre. È arrivato qualcuno che ci ha fottuti. Il Culto Nero
del Vaticano, a sentire i capoccia". Sul suo viso raggrinzito sbocciò un
sorriso malefico. "E ora anche l'Alveare è risorto. I sacrifici di sangue gli
vengono portati direttamente fino al Panopticon, la sua
blasfema fortezza, su una catena di montaggio... e noi ancora zitti, a lasciarci fottere come... come scolarette
giapponesi".
Il giovane Hurt si chiese quando fosse diventato così volgare - o se già lo fosse allora senza essersene accorto. "Non esiste più nessuno di libero?" chiese,
cercando di scacciare quei pensieri.
"Le colonie su Marte sono libere" rispose il vecchio. "Ma
io stesso, per sopravvivere, mi sono dovuto inchinare al Redentore d'Acciaio e
ricevere il suo battesimo di petrolio, mentre lo stronzo mi esaminava con occhi simili a
fari alla ricerca di segni di ribellione".
Hurt si tastò la giacca all'altezza del petto, infilò una mano in
tasca ed estrasse una fiaschetta di metallo. Cominciò a svitare il tappo, ma il
vecchio gliela afferrò e la sbatté a terra.
"Che fai?" chiese.
"Smettila di bere" disse il vecchio, fulminandolo con
lo sguardo. "Ci porterà solo altri guai".
Hurt lo guardò, con un misto di fastidio e pietà. "Smetterò quando
tu hai smesso" disse, "Né prima né dopo". Si chinò a raccogliere
la fiaschetta, ma subito capì di aver detto la cosa sbagliata.
"Ti credi un grand'uomo, vero?" chiese il vecchio con un
sorriso sdentato, come se per tutto il tempo non avesse aspettato che quel momento. "Fai finta di nulla, ti atteggi a grande eroe, ma dentro di te c'è... merda. Merda e paura. E disprezzo per quelli che non sono uguali a te, per i poveri ragionieri e gli idraulici
e gli avvocati che mandano avanti questo cazzo di mondo. La superbia del laureato che si
crede migliore dei genitori, non è vero?"
Hurt non rispose ma rimase a fissarlo.
"Credi di aver già visto molte cose... cose interessanti, cose che
ti hanno reso quello che sei, una persona importante. Povero idiota. Non
hai ancora visto nulla, e ancora non sei proprio un cazzo di nessuno. Capirai a cosa mi riferisco... Ma lascia che ti dica che nella nostra vita sono accadute cose più
strane".
Il detective non riuscì a rispondere al vecchio, ma per
fortuna lo sciamano parlò e lo tolse d'imbarazzo. "Basta così,
per ora" disse, mettendogli una mano sulla spalla. "Credo sia giunto
il momento di andarcene, prima che traumatizzi il ragazzo più del necessario".
Ma il giovane Hurt lo prese per il gomito e si liberò dall'abbraccio. "Solo
un'ultima domanda" disse. "Un'ultima cosa e ce ne andiamo". Lo sciamano non pareva contento ma non disse
nulla, e Hurt si sentì libero di parlare. "Lei come sta?" chiese.
Il vecchio sapeva, naturalmente, di chi il ragazzo stesse parlando. Gli tornarono
alla mente capelli rossi come il fuoco e una pelle come la neve, ma tentò di
scacciare quel ricordo e tutto ciò che portava con sé. "Non lo
so" disse, e per la prima volta la sua corazza parve incrinarsi. Ma fu
solo un attimo, poi tornò ad indirizzargli uno sguardo pieno di rimprovero.
"Ora andate. Non dubito che noi due ci rivedremo presto". Salutò con un
cenno del capo lo sciamano, poi si girò e, ancora con la Beretta in pugno, si
avviò verso le porte della prigione.
Il giovane Hurt lo seguì con lo sguardo, in preda a una
strana malinconia. Prima di sparire il vecchio si voltò e sollevò la pistola
al soffitto.
"Ricordati il motto del Mondo, giovane detective" disse. "Nel silenzio noi sempre combattiamo!"
Adesso.
"È questo quello che volevi mostrami?" Hurt stava parlando con lo
sciamano. Erano tornati indietro, nel presente. "Farmi vedere quanto fossi diventato
vecchio o quanto mi fossi rincitrullito? È questa la Rivelazione che mi spettava?"
Nella sua voce c'era dell'ironia, ma nel suo sguardo non poté nascondere la
delusione per quello che lo aspettava.
Prima di rispondergli lo sciamano si grattò la barba. Hurt avrebbe
giurato di vedere qualcosa di vivo muoversi tra le sue dita.
"Non è
questo, Jack" disse. "Sebbene simili viaggi tendano a manomettere il futuro, del futuro
non si può mai sapere tutto con certezza".
Hurt lo guardò perplesso, e persino lo sciamano dovette accorgersi di
essere stato poco chiaro. "Il tuo destino" disse, "è ergerti
solo, ultimo baluardo della libertà contro le orde del Panopticon. Io l'ho visto. Non ti
attende una vecchiaia tranquilla, il lento oblio che dovrebbe essere la tua
ricompensa, ma una grande battaglia il cui esito riverbera ancora nel flusso del tempo...
Per questo le Madri hanno scelto te".
Hurt si appoggiò alla corteccia dello stesso pino che lo aveva
sorretto prima del loro viaggio. Fece per prendere un sorso di liquore, ma ricordò
l'avvertimento che si era dato e la mano gli cadde lungo il fianco.
"Cosa accadrà in quella battaglia?"
"Questo nemmeno a me è dato
saperlo. Ma ho fiducia che tutto si risolverà per il meglio".
Hurt sbuffò, ma gli rivolse comunque un cenno di ringraziamento.
"Ora che farai?"
"Tornerò in Australia, dai miei bambini. Hai voglia a spiegarle che il tempo non esiste, ma mia moglie si arrabbia
comunque se rientro cinque minuti in ritardo".
Hurt sorrise. "Come ha detto l'altro, non dubito che prima o poi ci
rivedremo".
Lo sciamano lo salutò con la mano, poi alzò il lembo magico della realtà
e scomparve al suo interno.
Il detective rimase un attimo a fissare il punto in cui la tenda si
era sollevata, cercando di scacciare la sensazione di bidimensionalità che
aveva fatto seguito a quel fenomeno. Afferrò la fiaschetta che aveva in tasca,
la studiò, giocando a deviare i riflessi del sole sugli alberi, poi con un
sorriso rassegnato la gettò nel bosco.
"Non farà che portarci altri guai" disse.
EPILOGO: Trentacinque anni nel futuro. La Terra.
Il vecchio guardò verso l'orizzonte. Era ben piantato nel mezzo del deserto che un tempo era stata
l'Italia. Un leggero venticello gli increspava l'orlo della giacca e gli faceva
andare la sabbia negli occhi, ma egli non se ne curava.
Un grosso metacarro emerse dal deserto, la sabbia che gli scivolava
sull'armatura cromata. Poi ne spuntò un altro, e un altro ancora, e altri finché
Hurt non perse il conto; e continuarono ancora.
Dal cielo rannuvolato un gigantesco occhio, simbolo vivente del
Panopticon, discese per seguire da vicino la battaglia imminente. Il vecchio sorrise.
Concesse uno sguardo distratto anche alle tre sagome bianche che
aleggiavano alla sua sinistra. "In culo al silenzio" disse, e sollevò
la pistola.
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