lunedì 28 aprile 2014

EPISODIO 6


Aiutami, Jack Hurt!

[di Stefano Mazzoni]




Paul Collins zoppicava un po' sulla gamba sinistra mentre si dirigeva agli uffici della Instant Karma. Aveva il volto pesto e faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Premeva la mano su una ferita che aveva sul fianco, cercando di fermare il sangue.
Aveva quattro tagli profondi e la febbre alta lo rendeva confuso. Si diresse verso gli uffici di Hurt. Rosemarie Lovelace, che un tempo era stata sua collega, quel giorno non era alla sua scrivania; tuttavia non dovette fare la fatica di aprirsi la porta da solo. La aprì per lui un uomo, forse un cliente, che in quel momento usciva. Affiancandosi si rese conto che doveva trattarsi di un poliziotto, un capitano a giudicare dai gradi; ma in quelle condizioni non poteva certo esserne sicuro. Non poteva essere sicuro di nulla! L’uomo, che aveva due grossi baffi spioventi, lo guardò con interesse e con spavento. Fece per dire qualcosa, ma poi fu come se si fosse ricordato dove si trovava e si fermò. Invece si strinse nelle spalle e uscì.
“Sono successe cose anche più strane” Collins sentì che bofonchiava.
Il giornalista si infilò nello studio di Hurt e rischiò di inciampare su una grossa massa di pelo. Dalla massa di pelo si alzò una voce baritonale.
“Dico! Faccia un po’ di attenzione!”
Collins la ignorò e si appoggiò contro la parete. Il detective lo fissava con occhi spalancati, non sapendo bene cosa fare. Teneva in mano un plico di fogli che lasciò cadere sulla scrivania.
“Aiutami, Jack Hurt...” disse Collins. Poi svenne.

Il giornalista si svegliò qualche ora dopo, disteso sullo scomodo divano di Hurt. Si mise a sedere e la testa gli girò tanto che per un attimo credette di stare per svenire di nuovo.
La sensazione del tessuto sulla pelle gli fece capire che era senza camicia. La ferita sul fianco era stata pulita e medicata; ora il dolore gli giungeva a intervalli intermittenti, meno intenso di quello di prima.
All’improvviso si chiese dove fosse Hurt.
Prese un bel respiro e si sollevò in piedi. Le gambe gli tremarono, ma egli si sforzò di stare su. Guardò nella stanza della Lovelace, che era vuota, e nel piccolo bagno in fondo al corridoio. Scavalcò la massa di pelo, che in quel momento capì essere un cane da pastore. Alla fine tornò nell’ufficio di Hurt e si sporse dalla finestra: in basso, sul marciapiede, vide il detective allungare qualche banconota a un senzatetto. Quest'ultimo guardò con aria di sufficienza la sua tazza, ringraziò Hurt con un cenno del capo e si allontanò reggendo tra le mani il cartello La fine è vicina, ricordatevi di conservare il vostro scontrino.
“Ehi, Hurt!” urlò Collins, per richiamare la sua attenzione. La voce gli venne fuori a stento, ma Hurt guardò in alto e sorrise. Sollevò una borsa di plastica e: “Sono andato al supermercato!” disse.

Il detective tirò fuori un bicchiere e lo riempì con un dito di liquido da una bottiglia che teneva per metà nascosta in un sacchetto, e lo passò a Collins. Prima di berlo, il giornalista parve studiarlo con un po' di timore.
“Cos’è?” 
Hurt lo guardò bonariamente. “Magia” disse. “Ti farà stare meglio”.
Collins continuò a studiare in silenzio il bicchiere e il liquido marroncino che conteneva. Quindi, corrucciato, se lo portò alle labbra e lo bevve in un sorso. Poi lo sputò, si piegò in due tossendo e sentì una forte fitta alla ferita.
“Ma è brandy!” urlò appena smesso di tossire.
“La colazione dei campioni. Vedrai che ti sentirai meglio”.
“Acqua! Devo sciacquarmi la bocca”.
“Dev’esserne rimasta un po’ nel rubinetto”.
Collins sollevò lo sguardo e fissò furente il detective, ma lui non ci fece caso.
“Mi vuoi dire che ti è successo?”
Il giornalista indietreggiò, con precauzione, e si sedette sul divano. “Non saprei”.
“Chi ti ha ridotto così?”
L’altro rabbrividì. “Non ricordo. Era… non so. Una creatura, suppongo”.
Hurt sollevò un sopracciglio. “Perché ce l’aveva con te? Le hai pubblicato un articolo?”
“So quello che pensi". Collins lo fulminò con lo sguardo. "Che sono un avvoltoio, una sanguisuga…”
“Adesso...! La mia opinione non è così lusinghiera”.
“Ma io faccio il mio lavoro. E no, non so perché quella cosa ce l’avesse con me”.
“Concentrati. Cosa ricordi delle ultime ore?”
Collins poggiò la schiena sul divano e alzò il collo, fissando il vuoto prima del soffitto.
“Ero… l’ultima cosa che ricordo è che me ne stavo in un bar”.
“A fare che?”
“Secondo te? A ubriacarmi per colpa tua”.
Sul volto di Hurt si dipinse un’espressione di sorpresa. Si portò una mano al petto. “Moi?”
“Sì, toi" ripeté Collins. "Da quando ho iniziato a occuparmi del tuo caso nessuno vuole più assumermi. Neanche come free lance”.
“Mi chiedo proprio perché”.
“Sei stato la mia rovina”.
“E ora sei qui a chiedere il mio aiuto". Gli schioccò le dita davanti. "Non sei aggiornato”.
Collins annuì, cupo, e riprese il suo racconto.
“All’improvviso un tizio… un ragazzo, un biondino, si è seduto accanto a me e ha attaccato bottone. Credevo fosse gay, e invece…”
“Invece cosa?”
“Mi ha… proposto un patto”.
“Che patto?”
“Mi ha proposto… mi ha detto che avrei potuto scrivere il servizio della mia vita. Che sarei tornato alla ribalta”.
“E tu?”
Collins socchiuse gli occhi mentre cercava di ricordare. “Non so… ho accettato, suppongo. Avevo bevuto e comunque credevo che lui stesse scherzando. Poi non ricordo più nulla, solo una creatura con gli artigli che mi inseguiva, e una voce dentro di me che mi diceva di venire da te. Ho pensato che tu fossi l’unico che mi potesse aiutare”. Piegò il collo e guardò Hurt, implorante. “Mi aiuterai, vero, Hurt?” chiese.
L’investigatore rimase un attimo in silenzio, poi annuì. 
“Credo di non potermi più tirare indietro" disse. "Ti ho curato e ti ho ospitato in casa mia. Esistono delle regole per questo. Adesso sei mia responsabilità”. E aggiunse, con un mezzo sorriso: “Avrei dovuto sbatterti fuori appena sei svenuto”.
Collins si rilassò. Hurt lo aveva già salvato una volta, e forse, sperava, avrebbe potuto farlo di nuovo. “Ho fatto un patto con il diavolo, Jack?” chiese.
“Chissà. Con un diavolo, almeno”. Hurt si avvicinò a Collins e si lasciò cadere accanto a lui. “Mille diavoli nel profondo dell’Inferno, ma quanti si agitano nel cuore di un grand’uomo?” disse. “Ora voglio che tu ti concentri. Ho bisogno di tutte le informazioni”.
Ma Collins si prese la testa tra le mani. “Non ricordo altro” gli assicurò.
“È proprio a questo che serve il brandy. Rilassati mentre provo a entrare”.
Il giornalista non aveva idea di cosa Hurt intendesse, ma lo guardò negli occhi e si sentì nauseato, come se avesse un po’ di mal di mare oppure come se l’afa estiva lo stesse soffocando. Ebbe un brivido, e tutte le cose nella stanza gli parvero improvvisamente diventare enormi. Si sentiva terrorizzato.
Poco dopo, come era arrivata, la sensazione svanì. Collins guardò Hurt, che aveva un’espressione a metà tra il concentrato e il perplesso.
“Cosa hai visto?”
“Nulla" disse il detective. "Non stai mentendo, ma è come se i tuoi ricordi fossero stati sigillati. Non cancellati… solo messi fuori dalla mia portata". Sbuffò. "Chiunque sia stato, è bravo”.
“Sono contento che tu abbia trovato pane per i tuoi denti” disse Collins. “Ma ora possiamo andare avanti con la nostra indagine?”
In quel momento la luce dell’ufficio ammiccò e si spense. Collins fissò la lampadina in silenzio, e Hurt abbassò il volto verso la propria mano.
“Sta arrivando…” mormorò Collins, cambiando improvvisamente tono. “La creatura mi ha trovato”.
“È impossibile” disse Hurt, ma parve assumere un’espressione dubbiosa.
Daniel si sollevò sulle quattro zampe e fiutò l’aria. “Capo” disse, in un basso ringhio. “Qui c’è qualcosa che non quadra. Nell’aria c’è un odore… non saprei dire, sbagliato”.
“Quel cane parla?” chiese Collins, con gli occhi fissi su Daniel. Hurt lo ignorò.
La porta esterna cigolò sui cardini e si aprì. Sentirono un suono bagnato di passi dirigersi verso la porta dell’ufficio e arrestarsi, e Hurt fece scivolare la mano verso la fondina.
La porta si spalancò, rivelando l'orrore dall’altro lato: una donna annegata di fresco, con lunghi artigli e zanne d’ottone, i capelli di alga e la pelle squamata. Avanzò verso di loro tendendo lunghe braccia da scimmia.
“La - mano - del - morto!” urlò, e nel farlo rovesciò acqua e saliva sul pavimento. “La - mano - del - morto!”
Hurt non le dette retta, estrasse la pistola e gliela puntò contro.
“Ferma o morta” disse; ma l’essere continuò ad avanzare verso di lui con un'andatura a scatti.
Il detective fece per sparare, ma all'improvviso qualcosa si frappose tra lui e il suo bersaglio. Daniel le era saltato addosso e l’aveva spinta a terra.
“Togliti, Daniel!” urlò Hurt. “Non posso prendere la mira”.
“C’è qualcosa che non mi torna, capo!” disse il cane. “Sento un odore sbagliato. Andiamocene!” Addentò una gamba della creatura, facendo penetrare in profondità le zanne. La creatura urlò di dolore mentre un fiotto di sangue e acqua le sgorgava dalla ferita. Guardò Hurt con occhi pieni d’odio e ripeté “La - mano - del - morto!”
Daniel saltò dal corpo della bestia e corse a tirare i pantaloni di Hurt. Questi alzò di nuovo la pistola e prese la mira, ma il cane continuava a strattonarlo e rischiava di fargli sbagliare il colpo. Hurt fissò gli occhi in quelli di lui, umidi. Afferrò Collins per un braccio e i tre uscirono dall’agenzia.
L’adrenalina fece dimenticare a Collins il dolore alla ferita. Uscirono dal condominio, si gettarono a peso morto sulla T-Bird e Hurt partì sgommando. Sgusciarono su una via trafficata e si incolonnarono sotto il semaforo a Madison Street.
“È impossibile che stia accadendo” disse Hurt.
Collins stava studiando il cane, che sbavava allegramente sul sedile e si godeva l’aria fresca e lo smog della città; ma immediatamente si girò verso di lui. “Impossibile?" chiese, con una punta di disperazione nella voce. "Credevo fossi abituato a queste cose!”
“Non è quello che intendevo: è davvero impossibile” disse il detective ostinatamente. “Il mio ufficio è protetto. Nessun demone, gremlin o coboldo con cattive intenzioni può entrarvi. Quindi ho i miei buoni motivi per dire che tutta questa storia è impossibile”.
“Eppure quella cosa è entrata” osservò Collins. “È inutile negarlo. Vogliamo negarlo?”
Hurt digrignò i denti, e il giornalista ebbe l'impressione che lo stesse guardando come se combattesse con la tentazione di sbatterlo fuori. Ma non con quella di accostare, prima.
“Daniel” riprese invece il detective dopo un attimo di silenzio. “Chiama Miss Lovelace. Dille di stare alla larga dall’ufficio, per oggi”.
Il cane annuì e colpì con la zampa il cruscotto della macchina. Quello si aprì di scatto e cadde un cellulare. Daniel si piegò e, con il muso, tentò goffamente di comporre il numero. 
Collins lo guardò. Per ogni pulsante che voleva premere, ne venivano pigiati tre. Si chiese come Hurt potesse pensare che sarebbe riuscito nell’impresa.
“Ora, per prima cosa ci servono delle informazioni” disse il detective. “Non si combatte qualcosa che non si conosce”.
“Cerchiamo su internet?”
“Non essere sciocco. Ci serve un catalogo. Purtroppo la mia biblioteca è in ufficio, e quello non è più un posto sicuro”.
“Non risponde!” latrò Daniel dall’altro sedile.
Hurt fece manovra per parcheggiare.
“Ora non posso occuparmene" tagliò corto. "Corri da lei. Scopri dov’è, e se ha bisogno di aiuto” disse, e lasciò scendere il cane. “Corri!”
Daniel si mise a trottare in direzione opposta a quella della macchina, verso l’appartamento di Miss Lovelace, latrando per far spostare i passanti. Quando svoltò alla fine dell’isolato e scomparve, Hurt si immise di nuovo nel flusso automobilistico.
“Mentre Underdog cerca Rosemarie, noi che facciamo?” chiese Collins.
Hurt abbozzò un sorriso, ma non parve molto contento di ciò che stava per dire. “Andiamo a trovare un vecchio amico”.

La campanella trillò. Fat Jim sollevò gli occhi dal giornale appena in tempo per ricevere in pieno un pugno sul naso. Perse l’equilibrio e cadde all'indietro, rimbalzando sul sedere.
“Ma che cazzo…?” urlò mentre cercava di tamponarsi il naso.
“Ciao Jim” disse Hurt. “Ho saputo che hai venduto la Scacchiera all’Alveare. Spero tu ci abbia guadagnato abbastanza”.
“Non è mai abbastanza” disse Jim. Squadrò con aria furente il detective, ma afferrò comunque la mano che lui gli offriva.
"Un giorno dovremo pagare noi per la tua avidità" disse Hurt in tono cupo. "Ma per adesso ho bisogno di te".
"Spero sia una cosa importante. Mi interrompi mentre lavoro".
Hurt sorrise. "Ti dissi di conservarmi una cosa, qualche tempo fa. Ora la rivoglio indietro”.
Jim si premette un fazzoletto di carta sul naso. “Questa non è una banca, Hurt. Non abbiamo cassette di sicurezza”.
“Lo so. Non avrei potuto permettermela, infatti”.
Il negoziante grugnì e si diresse nel retrobottega. Lì armeggiò per un po’, spostò degli scatoloni e afferrò una borsa  che consegnò ad Hurt. Il detective la aprì e ne tirò fuori tre agende piene di fogli e lettere sparse.
“Un piccolo compendio” disse a Collins, passandogli uno dei volumetti. “Dammi una mano a cercare la creatura”. Poi, rivolto a Jim: “Ti spiace se rimaniamo qui?” chiese, in tono cortese.
Jim fece per rispondergli, ma i suoi occhi incontrarono quelli del detective. Grugnì di nuovo, si girò e senza dire una parola si rifugiò dietro il bancone.

Due ore dopo si trovavano ancora al punto di partenza. Hurt gettò all’aria l’agenda e distese i piedi su un divano in pegno. 
“Basta!” urlò, passandosi una mano tra i capelli disordinati. “Non ce la faccio più ad andare avanti”.
“Potrebbe essere” azzardò Collins, che aveva infilato cinque dita nel libro per tenere il segno, “una fatata d’acqua, un kappa, Jenny Dentiverdi, oppure…”
“Non corrisponde a nulla!” disse il detective. “Innanzitutto perché dovrebbero avercela con te? E poi cosa diavolo vuol dire quella frase… La mano del morto?”
Fat Jim provò a dire qualcosa, ma Hurt alzò un dito in segno di avvertimento e lui si zittì.
“Dov’è quello stupido cane?” chiese Collins.
“Lo sa il Profeta” disse Hurt.
“Spero che Rosemarie stia bene”.
“Oh, starà benissimo". Il detective si strinse nelle spalle. "Sarà andata a fare compere. Era il suo giorno libero, in fondo. Ho mandato Daniel, sai… solo per avvertirla”.
“Saremmo potuti andare noi” disse il giornalista. Conosceva Rosemarie da più tempo di quanto la conoscesse Hurt, e avrebbe voluto essere sicuro che stesse bene. Ma forse era solo quella storia ad averlo agitato tanto.
“Sto già seguendo due casi, ora, non posso…” Hurt scattò in piedi, come se avesse appena realizzato qualcosa di molto importante. Collins stava per chiedergli quale fosse il suo secondo caso, ma: “La mano del morto!” disse. Si mise a passeggiare su e giù per il negozio, con le mani dietro la schiena e l'espressione assorta di chi sta seguendo i propri pensieri in un luogo inaspettato. “E se quella formula non fosse una minaccia? E se fosse un messaggio?”
“Dipenda da cosa dovrebbe significare” disse Collins, ma il suo tono era ancora poco convinto.
“La mano del morto è... è solo una mano sfortunata a poker. Negli western, quando qualcuno viene ucciso al tavolo da gioco, tiene sempre in mano la mano del morto. Oh Dio” Hurt si fermò e spalancò gli occhi. “Non è solo un messaggio. È un messaggio diretto a me”.
“Come?”
“Io... io sono… be', diciamo sfortunato con le carte. La creatura non è arrivata nel mio ufficio per darti la caccia, ma per cercare me”.
“E cosa voleva da te?”
Hurt boccheggiò. “Il mio aiuto, forse”.
“Se così fosse, perché non te lo ha chiesto e basta?”
Hurt si zittì all'improvviso e riprese a camminare. “Forse non poteva. Forse è vincolata a parlare solo per enigmi. Eppure voleva farmi sapere…” Si interruppe. “Cosa voleva farmi sapere?”
“Che le piacciono gli western?” suggerì Jim. Nessuno gli prestò attenzione.
“Voleva farmi sapere… che mi conosceva. Ma come fa un demone a sapere che sono sfortunato nelle carte? O che mi piacciono gli western? Sono informazioni della mia vita precedente, informazioni che ho sigillato quando...”
“Ma quella cosa non è un demone” osservò Collins all'improvviso.
Hurt si girò a fissarlo. “Cosa?”
“Sei stato tu a dirlo. Nessun demone, spirito et similia può entrare nel tuo ufficio. Ergo, non è un demone”.
Il detective parve riflettere un momento. “Questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito e dimostra la tua totale ignoranza su ogni cosa che conta. Ma forse hai ragione”.
Collins lo fissò.
“Io ho detto che nessuno di questi esseri poteva entrare se avesse avuto intenzioni aggressive” precisò Hurt, “ma quella creatura era venuta a chiedermi aiuto. Eppure ho dato per scontato… mai giudicare dall’aspetto, in questo lavoro. Ancora non l'ho imparato”.
“Non ti seguo”.
“Se fosse giunta così, da sola, le avrei prestato maggiore attenzione; ma tu sei arrivato prima a prepararle la strada, a confondermi le idee. E solo una persona al mondo poteva sapere che…”
Le luci si spensero e la porta venne violentemente sbattuta contro il muro. La donna affogata che li stava inseguendo entrò nel locale protendendo un braccio.
“La - mano - del - morto!” disse. “La mano del morto!”
Jim, dopo un attimo di smarrimento, si piegò sotto il bancone e ne riemerse con un fucile a pompa calibro 12. A bocca aperta, tremando, lo puntò contro la creatura. Hurt se ne accorse appena in tempo e gli fece cenno di abbassarlo; confuso, ma ancora sotto il controllo mentale del detective, Jim obbedì.
“La mano del... morto!” 
“Hurt! Fa qualcosa!” urlò Collins.
“Va tutto bene. Ora ci penso io. Sono ancora in grado di disperdere un’illusione, se mi ci metto”. Il detective si fece avanti, si sfregò le mani e aprì le braccia a imbuto.
Si avvertì come un risucchio mentre i presenti venivano strattonati all’altezza dell’ombelico. Così come se ne erano andate, le luci tornarono. La pelle della creatura evaporò come nebbia al mattino, e sotto di essa una ragazza di circa ventisei anni, mora, con gli occhi nocciola e le gambe lunghe, fece qualche passo in avanti e si accasciò a terra. Sul polpaccio sinistro portava i segni freschi del morso di un cane.
“Rosemarie” bisbigliò Collins.
Dopo un attimo di silenzio stupito, Daniel irruppe nel locale.
“Non colpitela! È Miss…” Vide quello che era successo e “Oh” commentò.
“Appena in tempo, vecchio mio” disse Hurt. “Non fosse stato per te poteva scapparci il morto”.
“L’appartamento della Lovelace era pieno dell’odore che mi confondeva” provò a scusarsi Daniel. “Ci ho messo un po’ per seguirlo. Solo, adesso è come se un velo mi fosse caduto da davanti e…”
“Era un’illusione” disse Hurt. “La Lovelace era tenuta apposta in uno stato confusionale. Chiunque abbia organizzato tutto sapeva che prima o poi sarebbe venuta da me. Daniel, chiama un’ambulanza”. Il cane abbaiò e annuì, e si diresse dietro il bancone.
Collins guardò confuso Rosemarie stesa a terra, non riuscendo a capire cosa fosse successo; intuì tuttavia che il pericolo era passato e, sospirando, si lasciò cadere sul divano e chiuse gli occhi.
“Quel ragazzo… quello con cui hai stretto il patto” chiese Hurt all'improvviso, dopo un attimo di silenzio. “Puoi descrivercelo?”
Collins scrollò le spalle. “Biondo. Sulla trentina”.
“Ha detto qualcosa?” insistette il detective. “È molto importante”.
Il giornalista annuì. I suoi occhi divennero una fessura mentre cercava di mettere a fuoco. “Sì, ha detto…”
“Pensaci bene”.
“Mi ha detto che avrei dovuto smetterla di bere" disse. "Che mi avrebbe ucciso. Di fidarsi di lui, perché era un dottore”.
“Un dottore”. Il detective si lasciò cadere sul divano e si prese la testa fra le mani. “King. È stato Ethan King fin dall’inizio. Mi ha mosso come una marionetta e si è tenuto accuratamente nascosto”.
“La più grande astuzia del Diavolo è aver convinto il mondo che non esiste” Collins sentì dire a Daniel dalla stanza in cui c'era il telefono.
Il giornalista si chiese distrattamente chi fosse King, ma in quel momento Hurt balzò in piedi. 
“Oh, è bravo. È dannatamente bravo. Erano anni che nessuno mi metteva più in difficoltà”. Nella sua voce c’era una nota, neanche troppo dissimulata, di divertimento. “Mi chiedo solo perché. Se mi avesse fatto uccidere un umano avrebbe attirato su di me le ire della Sorellanza, ma... No, non è da lui. Perché avrebbe dovuto farlo? Io non l’ho mai provocato…” Il detective fece un paio di giri del locale nel tentativo di schiarirsi le idee. “Voleva… giocare? È un calcolatore, e le persone come lui odiano sprecare energie, anche se non posso escludere del compiacimento nella decisione di scegliere Rosemarie per fargli da strumento. Comunque è tutto troppo complicato per uno così efficiente. A meno che…" Si fermò e batté le mani. "Ma sì, quello che ha fatto è essersi inventato un caso che potesse impegnarmi. Ma se la procedura è complessa, per potermi ingannare, lo scopo doveva essere semplice, per essere sicuro di centrare il bersaglio". Si guardò intorno e all'improvviso schioccò le dita. "Voleva tenermi impegnato!” Gli altri lo stavano guardando in silenzio. “Ma per cosa, per cosa per cosa?” Si fermò e alzò gli occhi al soffitto, poi scoppiò a ridere. “Stavolta te l’ho fatta! Stavolta ti ho battuto io, King!”
Subito corse fuori dal negozio e Collins gli andò dietro. Ma a un cenno di Hurt, Daniel si fermò per montare di guardia alla Lovelace.
I due saltarono sulla T-Bird senza aprire le portiere e partirono verso la periferia della città.
“King ti ha usato, Paul. Voleva qualcosa che mi distogliesse dal mio altro caso”.
“Quale altro caso?” chiese Collins.
“Lavoro a un caso per la polizia. Ogni tanto mi chiamano, quando non sanno a chi rivolgersi”. Sterzò bruscamente. “Un carico di uova di scimmie degli specchi, direttamente dalla Cina. King non voleva indagassi e ha messo su questo spettacolo per impegnarmi in qualcos'altro. Mi chiedevo chi fosse il loro contatto!”
“Le scimmie non depongono uova” disse Collins, ma in quel momento gli parve l'osservazione più stupida che avesse mai fatto. “Perché io?” chiese.
“Perché aveva bisogno di qualcuno da manipolare, e tu sarai stato ben lieto di aprirgli la mente e i ricordi in cambio del tuo stupido articolo”.
Hurt inchiodò in mezzo alla strada. Collins si rese conto che erano sotto gli uffici dell'agenzia: il detective scese e andò verso l’ingresso del condominio, dove un mendicante se ne stava appoggiato contro il muro a guardare le nuvole. Collins lo riconobbe dal cartello: era lo stesso di quella mattina. Bazzicava spesso da quelle parti, pensò.
Il detective non entrò nell’edificio, ma si fermò a scambiare due parole con il vagabondo. Immerse la mano nella tazza delle offerte e ne tirò fuori qualcosa, poi lo ringraziò e tornò in macchina.
“King ha commesso un errore" disse, con aria trionfante. "La Lovelace era troppo confusa... sarebbe tornata da me, ma non subito. Mi ha lasciato tutto il tempo per risolvere il caso”.
"Chi era quello?" chiese Collins.
"Quello? Ah, un informatore". Hurt prese dal cruscotto il cellulare e digitò un numero, poi aprì la mano e rivelò un foglietto di carta spiegazzato su cui era segnato un indirizzo.
“Sì, mi passi il capitano Pile, per favore. Sono Hurt. Ho le informazioni che voleva”.

Ore dopo, King stava risalendo a passi furenti le scale del condominio. La polizia aveva teso loro un’imboscata e il carico era stato sequestrato. 
Aveva perso molte migliaia di dollari, in quell'affare. Poteva prendersela solo con se stesso, però. Comunque stessero le cose il piano era fallito, e ora si trovava nella spiacevole situazione di dover limitare i danni.
La porta era chiusa a chiave, ma lui non ebbe difficoltà ad aprirla. Entrò e svoltò subito a destra, percorrendo il corridoio buio verso lo studio.
Collins era seduto alla scrivania e leggeva qualcosa sul portatile, ma appena lo vide si alzò in piedi.
“Tu!” disse, in tono sorpreso. Tentò di darsi un contegno. “Suppongo di doverti ringraziare, giusto? Ho effettivamente scritto l’articolo del secolo”.
King accennò un rigido sorriso. “Ritieni dunque che abbia rispettato il nostro patto?”
“Completamente. Ho ricevuto due proposte di lavoro oggi, entrambe da grossi quotidiani”.
King annuì ed estrasse la pistola, e sul volto del giornalista si dipinse un’espressione di gelo.
“Comunque non mi sei stato di grande aiuto”.
Sparò prima che Collins potesse dire qualcosa, poi ripose la pistola nella fondina. Si sbrigò ad allontanarsi, facendo attenzione che nessuno lo vedesse.
Il prossimo sulla sua lista era Jack Hurt.