Fine dei giochi
[di Stefano Mazzoni]
La sveglia suonò, e Billy aprì gli occhi con l'orribile pensiero
che era già ora di alzarsi. Era inverno, fuori faceva freddo, e nel letto c’era
quel bel tepore che si conquista a fatica e che dispiace sempre abbandonare.
Con le mani tenne ferme le coperte e si rivoltò
dall’altra parte, sperando che gli fosse concesso ancora un po’ di tempo prima dell'inizio della giornata. Non
troppo: quello necessario ad accettare l'idea di doversi alzare. Ma in quel
momento qualcuno chiamò il suo nome dall'altra stanza. Sospirò e scostò le coperte tutto d’un fiato, sperando che questo potesse
servirgli per svegliarsi del tutto, e rabbrividendo si infilò le calze e le
pantofole.
Si accorse di
dove si trovava. Quella era la camera da letto di quando ancora viveva con i
suoi genitori, e non la stanza che gli aveva messo a disposizione l’Episcopo.
Confuso e ammutolito, abbassò la maniglia della porta e sgusciò in corridoio.
Non sapendo cosa fare andò in cucina. Lì una donna dai capelli scuri stava
facendo scaldare qualcosa in un pentolino.
“Mamma” la chiamò Billy con un filo di voce.
Gli occhi spalancati, le corse incontro e l’abbracciò baciandole la schiena.
“Che hai stamattina?” chiese lei. Poi, dopo
averlo osservato per un attimo, “Fa freddo, mettiti il
maglione”.
Billy non la ascoltava. Si limitava a stringerla, in
lacrime, cercando di capire cosa fosse successo. Alzò il volto, che fino ad
allora aveva tenuto premuto contro la sua vestaglia, per guardare il suo. Era lì,
concreta, e di questo non poteva dubitare.
All'improvviso vide un'ombra con la coda
dell’occhio. Si girò verso la finestra. Qualcosa di viscido,
con dei tentacoli forse, stava attraversando la parete a est del condominio. In
quel momento le ventose si attaccarono al loro vetro, si staccarono con uno
schiocco e con un movimento fluido sparirono alla vista.
Billy riportò lo sguardo sulla madre, che continuava a sorridergli. Ma quel riso era tirato, fisso, e Billy capì che
stava nascondendo qualcosa.
Ieri.
Due membri della Sequenza scortavano un uomo
incappucciato in un piccolo condominio nella periferia della città. Uno dei due, il Secondo,
colpì il loro prigioniero all’altezza delle ginocchia; quello, che già aveva le mani
legate dietro la schiena, crollò sul pavimento.
Facendo scivolare una gamba sotto l’inguine e
spingendo, il prigioniero riuscì a inginocchiarsi. Il Terzo allora afferrò il suo cappuccio e lo sollevò. Poi si abbassò su di lui, sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
“Quando hai scelto il tuo nome, Hurt, sapevi
che sarebbe finita così?" chiese. "Nelle urla e nel dolore?”
Hurt si guardò attorno. La camera era lunga, pitturata di bianco, e a un’estremità aveva
una cassa di legno chiusa con un lucchetto. Oltre a lui nella stanza c’erano
altre sette persone, tutti i membri della Sequenza.
Il Settimo gli si parò davanti a gambe larghe,
le mani a pugno appoggiate sui fianchi.
“Ecco il grande detective. Catturato come l'ultimo dei novellini”.
Hurt sputò a terra un grumo di sangue e sentì
l’occhio sinistro che gli si gonfiava. La gola gli andava a fuoco e non
riusciva più a deglutire.
“Dov’è Daniel?” chiese.
Nella mano destra,
ripiegata sulla spalla, il Quarto teneva un sacco di juta. Lo rovesciò sul pavimento e
Daniel scivolò fuori, col pelo
ricoperto di sangue incrostato.
Il Quarto si chinò su di lui, accovacciato sui
polpacci, e lo accarezzò tra le orecchie. Poi con
l’altra mano estrasse una Beretta e, senza cambiare espressione, gli sparò alla
nuca, facendo schizzare pezzi di cervello su tutto il pavimento.
“Figli di puttana!” urlò Hurt, cercando di
rimettersi in piedi.
Il Terzo lo colpì con un calcio. Hurt
si piegò in avanti, senza fiato, forse con una costola rotta; poi rialzò lo
sguardo sul Settimo, imponendosi di non piangere.
“Mi volete uccidere?”
“Anche”.
Il Secondo tagliò la corda che teneva legati i polsi di Hurt. Il
detective lo fissò dubbioso e si rimise in piedi, massaggiandosi i polsi per
aiutare la circolazione.
Il Sesto, dall’altra parte della stanza,
estrasse la Colt Python di Hurt.
“Non sei un granché senza questa, vero?”
“Non sei un granché senza questa, vero?”
“E senza la tua mano fantasma” aggiunse il
Settimo. “L’abbiamo sigillata appena ti abbiamo preso”.
Hurt sollevò e studiò la sua mano destra: gli
parve pesante come pietra, e non riuscì ad aprirla. Sul dorso le
era stato tracciato un simbolo che pareva una semplice runa di utilizzo spezzata.
“Cosa volete da me?”
"Sei stato giudicato dai Reges Mundi e
dall'Antipapa dell'Alveare per crimini contro la Totalità" disse il Primo
da un angolo della stanza, in tono forte e chiaro. "Sei stato dichiarato
colpevole e condannato".
I sette si fecero da parte, disponendosi a cerchio
attorno a lui. La cassa di legno era uno dei punti della circonferenza. Il
Quarto le si avvicinò, armeggiando con una chiave e sfilando il lucchetto, poi dette
una botta al lato aperto spalancandolo completamente.
“Cosa c’è lì dentro?” chiese Hurt.
“La fine dei giochi”.
Qualcosa uscì dalla cassa. Era alto circa due
metri, marroncino, con un muso lungo irto di zanne e il corpo a scaglie. Non
aveva arti anteriori, e sembrava incerto su quelli posteriori. Una coda muscolosa
bilanciava il peso della testa, e la creatura rimaneva così piegata in avanti.
“È un negadonte” disse il Settimo sorridendo.
“È impossibile. Sono tutti estinti”.
“In questa dimensione. Ma
di recente, come saprai, grazie a te l’Alveare ha acquisito sia un portale
dimensionale che un potente alleato”.
Hurt strinse i denti. Rimase impassibile,
fantasticando che il negadonte non potesse vederlo.
“Quello che state per fare non funzionerà” li
avvertì il detective. “È solo un altro trucco”.
Il Settimo sorrise. “Jack, tu più di tutti
dovresti sapere che la magia è sempre un trucco”. Alzò il braccio e lo abbassò:
il negadonte, che fino a quel momento era rimasto immobile, sbatté le palpebre
e digrignò i denti, e i suoi occhi diventarono simili a due fessure
sanguinolente mentre metteva a fuoco la preda.
“Merda”.
Il mostro lo caricò a testa bassa, ma Hurt scartò e corse dall’altra parte della stanza. In fondo, pensò, non
sarebbe stato più difficile che abbattere un troll.
Davanti a sé vide il Sesto con in mano la
pistola. Corse verso di lui, ma lui sorrise, abbassò l’arma e gli sparò
al polpaccio. Hurt ebbe come l'impressione di essere inciampato e cadde in
ginocchio. Tentò di alzarsi, ma sentì il sangue scorrergli sui pantaloni. Finalmente arrivò anche il dolore, e Hurt urlò.
Il negadonte si stava avvicinando, guardingo,
spaventato dal rumore dello scoppio; ma non ci sarebbe voluto molto prima che
riprendesse fiducia e lo attaccasse. Tuttavia… forse c’era ancora una possibilità.
Hurt si concentrò, agganciando il mostro in una
morsa psichica, poi spinse la sua coscienza fuori dal corpo fino in città,
verso la periferia, in una casa tinta di bianco. Ecco l’Episcopo, seduto sul
suo divano a leggere un libro. Hurt gli si avvicinò e cercò di spingere le dita
nella sua mente, perché almeno lui potesse sapere…
Ma fu respinto. L’Episcopo era schermato da ogni tipo di intrusione. Tuttavia era tardi per
trovare qualcun altro; Hurt si aggirò a vuoto per la casa, cercando di farsi
venire in mente un'idea.
All’improvviso percepì una seconda presenza. Attraversò il soffitto per idnagare... e trovò
Billy.
Oggi.
Billy scese dal bus, attraversò la strada e seguì la linea ferroviaria che si dirigeva verso la
periferia della città. Rientrò nel traffico, superò un paio di isolati e si
ritrovò davanti alla casa dell'Episcopo. Pareva strana vista così,
dall'esterno, con l'intonaco tutto scrostato, le porte e le finestre sigillate
e l'erba alta in giardino.
Billy saltò la staccionata e atterrò in mezzo
alle erbacce, e sospirando si diresse verso la veranda. Una delle assi che
teneva chiusa la porta stava per saltar via. Billy la afferrò con entrambe le
mani, puntò i piedi e tirò finché non la svelse. Quindi si piegò e, stando
attento ai chiodi sporgenti, strisciò all'interno. Provò a far scattare
l’interruttore della luce, ma l’atrio rimase al buio: dovevano aver staccato
l’elettricità. La giornata era limpida, comunque, e i raggi di sole che si
intrufolavano dalle finestre bastavano a illuminare l’interno. Eppure il
silenzio della casa, la polvere e quella luce intermittente gli mettevano i
brividi.
Avanzò fino in sala da pranzo e vide che
era vuota. In cucina rimanevano appena le allacciature del gas. Pensò
di salire di sopra, ma alcuni dei gradini erano crollati e non si fidò a
percorrere le scale.
All’improvviso sentì un rumore, qualcosa che si
aggirava per il giardino. Col cuore in gola si avvicinò alla parete accanto
alla finestra, si sporse e vide una grossa bestia pelosa che si guardava
attorno: era gialla, più alta di un uomo, e la maggior parte del suo corpo era
occupata da due grosse fauci sbavanti. Aveva piccoli arti anteriori che annaspavano come
scossi da convulsioni, e quelli posteriori le crescevano a metà del corpo, dove
sarebbe dovuto esserci lo sterno.
Due piccole antenne verdi gli pendevano dalla
fronte. All’improvviso cominciarono a vibrare, e la bestia alzò gli occhi nella
sua direzione.
Billy represse a stento un urlo e si gettò sul pavimento. Strisciò nella polvere fino a nascondersi dietro la porta. Appena in
tempo: le assi che bloccavano l’entrata saltarono e un basso ringhio avvertì il
bambino che la bestia era entrata in casa.
Billy alzò gli occhi da terra e si costrinse a
guardare sopra uno dei cardini, in quello spazio che scompare quando le porte
sono chiuse. La bestia avanzò di qualche passo, strusciando l’immensa mole
contro le pareti dell’atrio. Si fermò davanti a Billy, tentennando; poi
continuò in direzione della sala.
Il bambino tirò un sospiro di sollievo, si fece
coraggio e aprì la porta, accompagnandola in modo che non cigolasse, e uscì
dalla stanza per correre in giardino.
Un urlo bestiale lo avvertì che l’animale si
era accorto di lui. Billy sperò che con quelle zampe gli sarebbe stato
difficile corrergli dietro. Accelerò, uscendo dal giardino, attraversò la
strada senza guardare e si infilò in un dedalo di vie in cui il mostro avrebbe
fatto fatica a seguirlo. Continuava a ripetersi che doveva trovare aiuto.
Un colpo fece vibrare il vicolo: Billy si girò
e vide il mostro che cercava di infilarcisi dentro. Lo fissava con occhi colmi
d'odio; ringhiava e sbavava, e le antenne vibravano con forza. Billy deglutì e
si costrinse ad andare avanti: girò a destra, poi a sinistra, sempre correndo.
Ogni volta che trovava una porta suonava il campanello e gridava, ma nessuno
gli rispondeva. Una volta sorprese delle persone a scrutarlo da una finestra.
Sentiva il mostro corrergli dietro, e gli pareva che continuasse a guadagnare
terreno, ma non osava voltarsi per controllare.
Proprio quando il fiato cominciava a mancargli
una mano uscì da un vicolo e lo afferrò per la collottola. Billy era troppo
stanco per gridare. La persona che lo aveva acciuffato stava accovacciata
davanti a lui, e gettava sguardi preoccupati sopra la sua spalla; alzò la mano
e tese l’indice e il medio, poi tracciò uno strano simbolo a mezz'aria.
“Perché ti stava dietro, quel coso?” chiese.
L’uomo aveva una zazzera di capelli unti e
rossi e indossava una tunica macchiata. Gli mancava un orecchio, e una
cicatrice gli partiva dalla guancia destra e gli correva fino al collo. Billy
spalancò gli occhi, ma inaspettatamente il mostro che gli stava dietro svoltò
prima di raggiungerlo e scomparve nel labirinto di stradine.
“Non so. Stavo cercando qualcuno che abita nelle case dall’altra parte
della strada”.
“Lì è dalla Guerra Breve che non ci vive più nessuno”.
A Billy parve di essere sul punto di scoppiare a piangere. Invece si protese in avanti e si aggrappò al braccio del mago.
“Mi aiuti, signore!”
Egli si liberò dalla stretta. “Ho
già abbastanza guai per conto mio”.
“Devo trovare aiuto. C’è qualcosa che non va,
qui” provò a spiegare Billy. “Devo…" poi, colto
da un'improvvisa illuminazione, scattò in piedi e "Devo trovare il signor
Hurt!” disse.
Il mago corrugò la fronte. “Chi?”
“Un detective! So che ha un ufficio in centro,
ma…”
“Il centro non esiste più” disse il mago.
“Cinque anni fa l'ha distrutto la Cittadella”.
Billy ricadde all’indietro.
“Allora non so che fare” disse.
“Torna a casa” gli consigliò il mago. “Il mio
incantesimo ti nasconderà per un po’, ma non è eterno. Vai dai tuoi genitori e
mantieni un basso profilo. Persino l’Alveare ha di meglio da fare che dar la
caccia a un bambino”.
“No. C’è qualcosa di
sbagliato qui. E poi... io sono orfano”.
“Mi spiace”. Il mago lo guardò, impietosito, e
infine gli mise una mano sulla spalla. “Dimmi, che genere di aiuto avevi in
mente?”
“Magico” disse Billy a mezza voce.
Il mago sollevò un sopracciglio, ma alla fine
si strinse nelle spalle. Si infilò una mano sotto la tunica e porse qualcosa a
Billy. Era un biglietto da visita.
“Dicono che sei hai un problema con l’Alveare,
è a lui che ti devi rivolgere”.
Billy gettò un’occhiata al biglietto, lo
afferrò e lo strinse nel pugno.
“Grazie, signore”. Si frugò nelle tasche
ed estrasse qualche moneta. Il mago le accettò e chinò la testa in segno di
ringraziamento.
Billy riguardò il cartoncino beige che teneva
in mano. Sul biglietto era stampato un indirizzo non troppo distante da dove
si trovava lui, e sull'altro lato una singola frase in linea
continua.
Instant Karma Investigazioni - diceva. Banco dei pegni di Fat Jim sede
provvisoria.
La porta si aprì, facendo scattare il
campanello. Fat Jim alzò gli occhi dalla rivista porno sul bancone e
immediatamente si adombrò.
"Che ci fai qui? Non vendiamo giocattoli".
Il bambino si fece avanti fissandolo con occhi
spalancati.
"Be', cosa vuoi?"
Evidentemente era troppo agitato per
rispondere, quindi mise un biglietto da visita sul bancone. Jim gli dette
un'occhiata e sbuffò.
"Detective!" urlò. "Hai un
cliente".
"Arrivo".
Un uomo si fece avanti scostando la tenda di
perline, si guardò attorno e vide il bambino che tremava. Gli prese le
spalle tra le mani e gliele premette con aria confortante. "Cosa succede?"
"Mi deve aiutare, signore" disse il bambino. "Sto cercando Jack Hurt, ma..."
"Calmati". Il
detective sorrise. "Qui sei al sicuro. Fidati di me" aggiunse, tendendogli la
mano. "Sono un dottore".
Il bambino deglutì e gliela strinse.
"Mi puoi chiamare Ethan... Ethan
King".
"Billy... William" si presentò il
bambino.
"Che bel nome". Il detective si alzò
e si appoggiò con noncuranza al bancone. Jim spostò gli occhi su di lui, in segno
di disapprovazione - poi sprofondò di nuovo nella sua lettura.
"Cosa posso fare per te, Billy?"
Billy lo fissò per un attimo in silenzio.
"Stamattina mi sono svegliato" disse rapidamente "e il mondo era
tutto sbagliato... Ero a casa mia, la mia vecchia casa, e non a casa
dell'Episcopo, e comunque l'Episcopo non abita più a casa sua, l'altra casa...
E quando il mostro mi ha attaccato sono venuto qui perché quel mago sporco
mi ha dato il suo biglietto da visita, e mi aspettavo Jack perché questa è la
Instant Karma ma non c'è e io non so più cosa sia andato storto oggi". Si
zittì e riprese fiato, poi guardò speranzoso il detective.
King sollevò l'indice, lo riabbassò e corrugò
la fronte.
"Evidentemente sei in stato di
shock" disse. "Ma mi pare di capire che qualcosa ti abbia attaccato.
È corretto questo?"
Billy annuì. King si chinò su di lui e gli mise una mano sulla fronte.
"Se me lo permetti, Billy, potrei
attingere direttamente dai tuoi ricordi. Così mi aiuteresti a capire".
Billy strinse le labbra ma annuì di nuovo. King sorrise, rassicurante, e chiuse gli occhi. Dopo un attimo iniziò a tremare,
aprì le palpebre e rovesciò le pupille all'indietro, poi, mentre il tremore
aumentava, la mano scattò e venne proiettata da una forza misteriosa contro il
bancone.
Jim si sporse in avanti e scrutò il dottore,
che graffiava l'aria muovendo scoordinatamente le braccia.
"Che cosa gli hai fatto?" chiese,
spostando lo sguardo torvo sul bambino.
"N-niente..." disse Billy.
King si accasciò sul pavimento.
Spalancò gli occhi e fissò Billy per un attimo.
"Cos'era... cos'era quello?"
Afferrò i bordi del bancone e si rimise in piedi. "Un mondo senza Alveare?" chiese. "Un mondo senza
Alveare?"
Il bambino si strinse nelle spalle. "È
così che lo ricordo. È questo mondo ad essere sbagliato".
King scrutò attorno il negozio, boccheggiante.
Provò a dire qualcosa a Jim, ma guardandolo capì che non sarebbe servito a
nulla. All'improvviso si risistemò la camicia, si rivolse al bambino
e gli sorrise.
"Accetto il caso" disse.
"Gratis, s'intende".
Fece il giro del bancone, spostò Jim con una
gomitata e aprì il cassetto, quindi estrasse una vecchia Smith&Wesson e se
la ficcò in tasca.
"Potrebbe servire" disse, in tono
truce, e invitò il bambino a seguirlo fuori dal negozio.
Nel cielo volteggiavano piccoli globi oculari muniti di ali.
Quando li vide King si fermò, poi spinse Billy più in fretta verso la
macchina.
"Cosa sono?" chiese il bambino.
"Spie dell'Alveare" disse King. La Chevrolet fece le fusa e si mise in
moto. "Se appena hanno idea di chi tu sia saranno usciti a cercarti".
"Perché mi cercano? Cosa ho fatto?"
King gli lanciò un'occhiata preoccupata dal sedile del guidatore.
"Ti cercano perché sei il bambino più importante del mondo. Quindi vedi di
allacciarti bene la cintura".
Billy annuì, con lo sguardo stranamente fisso. "Dove stiamo
andando?" chiese.
"In un'altra città, in uno dei nascondigli della resistenza. Lì troveremo
una cosa che ci aiuterà a sistemare il mondo..." Il detective sospirò,
senza staccare gli occhi dalla strada. "Spero".
Billy corrugò la fronte. Continuava a non capire quello che
stava succedendo. Poi all'improvviso ripensò alla donna che sembrava sua madre... Quando fosse giunto il momento avrebbe scoperto la verità. Forse,
benché ancora non osasse crederlo, potevano tornare a essere una famiglia.
Jim rotolò a terra, urlando di dolore, stringendosi con forza la mano rotta con quella
sana. In piedi c'era il Quarto e fuori dal negozio attendeva il
mostro che aveva inseguito Billy. Ruspava il
cemento come avrebbe fatto una gallina con il terreno.
"Te lo ripeto" insistette il Quarto, gettando dall'altra
parte del bancone un fucile a pompa. "Dov'è il bambino?"
"Non lo so!" urlò Jim. "King lo ha portato via con la macchina...
posso darvi la targa, se vi serve!"
"Le saremmo grati se vorrà collaborare" disse il Quarto. Poi afferrò il cellulare e compose un numero.
"Sì?" disse una voce dall'altra parte della cornetta, una voce che era identica alla sua.
"La pista si sta raffreddando. Il bambino lo ha portato via il
mago. Avremo bisogno di qualcosa di meglio di un Segugio per catturarlo".
Dall'altra parte ci fu una pausa, poi: "Sei tu al comando di
questa operazione. Come consigli di procedere?"
"Voglio il Sommo Inquinatore" disse il Quarto, "e
il suo esercito di Quasi Incubi".
La Chevrolet era parcheggiata per metà sulla strada e per metà sul
marciapiede. Billy vide il dottore cadere a terra, scivolare sul pavimento
incerato e fermarsi alcuni centimetri dopo; poi qualcuno gli premette un piede sul
petto per impedirgli di rialzarsi.
"Sapevo che avresti reagito così" bofonchiò il detective.
Erano in un vecchio negozio di alimentari abbandonato. Dall'altra
parte della stanza una donna lo fissava silenziosa. Era alta, con gli occhi
verdi e folti riccioli rossi raccolti perché non le finissero sul viso.
Sollevò la mano e fece cenno all'uomo che teneva King bloccato.
"Liam, basta" disse.
L'uomo, un energumeno di circa centodieci chili, si spostò di lato e tese
una mano a King per aiutarlo a rialzarsi. Il detective sorrise, la afferrò e si
rimise in piedi.
"Scusa, vecchia mia" disse, rivolto alla donna dai capelli
rossi. "Non so come chiamarti. Per me sei sempre stata la Forza".
La donna sorrise. "Puoi chiamarmi Vivian, per ora".
Gli si avvicinò e gli strinse la mano. Lui la attirò a sé e la baciò.
Liam fece per dividerli, ma la donna gli fece segno di non scomodarsi. Tornò a
concentrarsi sul detective: gli sorrise, quindi gli tirò una ginocchiata nello
stomaco che lo fece piegare in due.
"Mentre tu... come ti chiamano in questo periodo?" chiese, con noncuranza.
Il detective sorrise e alzò la testa, senza fiato.
"Ethan. Ethan King" borbottò.
Vivian sbuffò. "Preferivo il Giudizio".
King si rimise dritto, si strinse nelle spalle e fece un rapido segno in
direzione di Liam. "E questo" chiese, "dove l'hai pescato?"
"Anche lui nell'organizzazione" disse la donna. "Era il
Sette di Bastoni".
Liam fece un piccolo inchino rivolto al detective.
"Disperso in missione" spiegò Vivian. "Lo abbiamo trovato
durante la battaglia alla Città delle Urla. Ma siamo arrivati tardi. L'Alveare
gli aveva già strappato la lingua. Ai tempi gliene avremmo costruita una nuova,
ma adesso..."
King abbassò lo sguardo e corrugò la fronte.
"Combatté con noi, sai?" disse Vivian, questa volta con un
accento critico nella voce. "Non come facesti tu".
King strizzò gli occhi, nervosamente. "Non avevamo vere possibilità di..."
"Ma almeno noi non siamo scappati". Il tono della donna si era fatto più duro mentre continuava a fissare il detective.
"Ma almeno noi non siamo scappati". Il tono della donna si era fatto più duro mentre continuava a fissare il detective.
"E cosa vi è venuto in tasca? A te, all'Eremita e al
Bagatto?"
"Se tu fossi stato con noi..."
"Ma non c'ero" disse il detective. "Quando
sono stato chiamato all'impresa sono scappato. E ora sono vivo".
"Un vigliacco, sei stato".
"Non chiamarmi vigliacco!" King strinse spasmodicamente i
pugni e Vivian sussultò. "Quello che è fatto è fatto" aggiunse a
mezza voce. "E in nessun modo può essere disfatto. Sono qui per altri motivi".
La donna scosse la testa e spostò lo sguardo su Billy. "Lui?"
"Il bambino che ci salverà".
"Se questo è uno
scherzo..."
"Prova a sondargli la mente" disse il detective.
"Una volta eri una discreta medium".
La donna lo fissò con irritazione, poi si fece avanti e tese la mano a
Billy. Quando gliela strinse lei le chiuse sopra l'altra. Prese un bel respiro
e chiuse le palpebre.
All'improvviso cadde sul pavimento, in preda a forti convulsioni. Ma
durarono poco: prima che potessero soccorrerla si riprese e si guardò attorno
come in cerca di qualcosa. Liam le mise una mano dietro la schiena e l'altra come cuscino sotto la nuca.
"Ora capisci?" chiese King.
Liam si voltò in direzione del detective, scuro in volto, e fece per rialzarsi. Ma la mano di Vivian gli si chiuse attorno al braccio e lo trattenne.
La donna era tornata in sé. Fece cenno a Liam di rimanere con lei, quindi parlò a King.
"Di cosa hai bisogno?"
"Dobbiamo aprire un passaggio sullo spaziotempo. Sai cosa serve".
Vivian annuì e fece segno a King verso una porta alle sue
spalle. Il muro era di compensato, ricoperto di geroglifici d'argento di protezione.
"È lì. Non l'ho toccata da quando me l'hai data".
King batté le mani, sorridendo. "Grazie, Vivian" disse.
"Se tutto va come spero, abbiamo appena salvato il mondo".
La donna lo guardò per un attimo e sorrise. "Almeno una volta".
Il detective si inginocchiò in mezzo a un mucchio di rifiuti magici, frugò, spostò, li tolse e li rimise a posto, lacerandosi le dita nella ricerca.
Alla fine strinse le mani attorno a un oggetto a forma di pentagono. Lo
estrasse, trionfante, per mostrarlo a Billy. Su un lato era disegnata una griglia
di quadrati in lacca rossa e nera, e l'altro esibiva una lastra di legno a vista.
"Che cos'é?" chiese il bambino.
"Una scacchiera!" disse King. "Era di Jim! È
così che l'ho conosciuto. L'ho recuperata per lui, ma appena ho capito quanto
fosse pericolosa l'ho comprata e sono venuto a nasconderla". Si rialzò in
piedi e si tolse la polvere di dosso. "Sapevo che l'Alveare non avrebbe
dovuto averla, qualunque cosa fosse successa".
L'afferrò per un angolo, tenendola dritta con le dita, poi sorrise. Fece
l'occhiolino a Billy e la lasciò andare. La scacchiera rimase sospesa.
"È una magia?"
"Una magia, sì". Il detective fece un passo indietro per ammirarla e mise una mano sopra la spalla di Billy. "È un foro, un'apertura nello
spaziotempo... Spero riesca a trovare il continuum da cui vieni e ci permetta di recuperarlo".
Ebbe appena finito di parlare che le pareti dell'edificio incominciarono
a tremare. Dell'intonaco cadde dal soffitto, imbiancando la giacca del dottore,
e lui si chinò su Billy per fargli da scudo. Ma non cadde nient'altro.
Qualcuno bussò alla porta e, senza aspettare una risposta, entrò.
"Ci stanno attaccando" disse Vivian.
"Chi?"
"L'Alveare. Hanno mandato un Inquinatore".
King serrò per riflesso la mano sulla spalla del bambino.
"Quanto tempo?"
"Non molto. Gli scudi non resisteranno neanche dieci minuti". Vivian
sospirò. "Qualunque cosa vogliate fare, fatela adesso".
La donna sorrise a Billy e tornò
nell'altra stanza.
King si avvicinò a una finestra. Nel buio pomeriggio invernale, sotto la
luce di un lampione, vide qualcosa accanto
alla sua macchina. Un uomo di circa tre metri, vestito di una tunica rossa da
cui spuntavano due zoccoli fessi, con in mano un tridente e in mezzo
alla fronte un corno d'avorio. Stava tracciando segni in aria e mormorava
parole sommesse... Preghiere agli dèi per abbattere gli scudi, pensò il dottore.
Dietro alla sua enorme massa si stavano accalcando una ventina di zombie che si
urtavano e muovevano le braccia in direzione dell'edificio, probabilmente in preda alla fame.
"Dobbiamo fare in fretta?" chiese il bambino, guardandosi
attorno confusamente.
Il detective annuì. "Ora è tempo di fare una scelta,
Billy" disse, sforzandosi di non far tremare la propria voce. "Il tuo
mondo... per certi versi è migliore di questo, ma..."
"È tutto migliore!" urlò Billy. "Nel mio mondo i
mostri non governano tutto".
"Per certi versi è migliore" ripeté King in tono ostinato.
"Ma per altri..." piegò il capo, avvertendo un'altra scossa di
terremoto. "Io, ad esempio... chi sarò nel tuo mondo? Non ci sono nei tuoi
ricordi. La mia agenzia è diretta da un altro. Per quanto ne so potrei anche essere..."
King tossì per il pulviscolo nell'aria, poi scosse la testa e riprese il suo discorso.
"Ma c'è di peggio" aggiunse, cercando di pensare alle parole giuste da dire. "Qui...
qui i tuoi genitori sono vivi. Li ho visti, nella tua testa. Ma di là sei ancora
un orfano".
Il bambino si morse le labbra e fece un passo indietro. "Non
possiamo cambiare tutto tranne quello?"
"No. È una scelta da fare, e non vorrei
fossi costretto a farla. Ma c'è sempre un prezzo per chi salva il mondo".
Billy abbassò lo sguardo, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
"L'Episcopo mi ha insegnato che..." provò a dire. "No, non
posso!" scattò. "Non posso ucciderli. Sono la mamma e il papà, sono miei e li voglio di nuovo!" Si mise a piangere, senza controllo, in bilico sull'orlo di una crisi d'asma. "Mi
spiace, non credevo di dover scegliere!"
King corrugò la fronte e abbassò lo sguardo. Sul suo volto si dipinse
un'espressione di grande tristezza. "Capisco. Va bene, Billy. Va tutto
bene". Si avvicinò al bambino e lo abbracciò. Lasciò che piangesse, che si
sfogasse sulla sua spalla. Poi si concentrò, entrò nella sua mente e lo fece
addormentare. Lo prese in braccio, stringendolo sotto il torace e sollevandolo,
e lo avvicinò alla scacchiera. In quel momento entrò Vivian.
"Stanno per..." iniziò a dire; poi mise a fuoco la scena e si fermò. "Che stai facendo?"
"Quello che va fatto" disse King. Sollevò il braccio del bambino, facendo sì che la sua mano sfiorasse la
scacchiera. Lo mise a terra, con cura, in modo che poggiasse la testa su un
cuscino.
Le losanghe della scacchiera iniziarono a tremare e caddero all'indietro,
all'interno del pentagono, in un vortice arancione che pareva senza fine. Guardarlo dette un senso di vertigini a
King.
"Eccolo!" urlò all'improvviso, indicando qualcosa a lato del
mulinello. "Il bambino aveva le coordinate! È qui che la storia è stata riscritta!"
"Che hai intenzione di fare?" urlò Vivian, cercando di
sovrastare il rumore che proveniva dalla scacchiera.
"Devo riportare il mondo indietro fino a quel punto. Ma devo modificarlo,
altrimenti tutto ricapiterà esattamente nello stesso modo".
King chiuse gli occhi e mormorò una preghiera. Si passò una mano sulla
giacca e avvertì qualcosa di pesante in tasca. Era la
Smith&Wesson che gli aveva regalato Lilian dopo la missione sulle Alpi, per
ringraziarlo di averla salvata.
"Oh, al diavolo!" disse King. "Tanto non l'ho mai
usata. Non mi sono neanche mai piaciute le armi". Sorrise e, allungando la mano verso
la scacchiera, gettò la pistola nel vortice. Quella precipitò in tutte le
direzioni e sparì.
Ieri. Di nuovo.
Hurt si guardò attorno, ancora stordito dall'alcol. La camera era lunga, pitturata di bianco, e a un’estremità aveva una cassa di legno chiusa con un lucchetto. Oltre a lui nella stanza c’erano altre sette persone, tutti i membri della Sequenza.
Il Settimo gli si parò davanti a gambe larghe, le mani a pugno appoggiate sui fianchi.
“Ecco il grande detective” disse. “Catturato come l'ultimo dei novellini”.
Hurt sputò a terra un grumo di sangue, e sentì l’occhio sinistro che gli si gonfiava. La gola gli andava a fuoco e non riusciva più a deglutire. All'improvviso
percepì qualcosa premergli in tasca, ma cercò di far finta di nulla.
Aveva riconosciuto il peso e, anche se non sapeva come fosse possibile, nel
petto gli si riaccese la speranza.
“Dov’è Daniel?” chiese.
Il Quarto si fece avanti. Nella mano destra, ripiegata sulla spalla, teneva un sacco di juta. Lo rovesciò sul pavimento e Daniel scivolò fuori, le mandibole semiaperte, la lingua penzoloni e il pelo ricoperto di sangue incrostato. Hurt dovette osservarlo un attimo per assicurarsi che respirasse. Nel
frattempo, mentre l'attenzione di tutti era concentrata su quello che stava per
accadere, tirava la corda che gli legava i polsi e cercava di allentarla
quel poco che gli sarebbe bastato per...
Il Quarto si chinò su di lui, accovacciato sui polpacci, e gli passò una mano tra le orecchie. Poi con l’altra estrasse una Beretta. Ma venne distratto dal movimento di Hurt, che era riuscito a liberarsi; non fece in tempo a far nulla che il detective aveva
estratto una Smith&Wesson e gli aveva sparato un colpo in mezzo al torace.
Le gambe di Hurt scattarono e lui si ritrovò in piedi. Sparò ai due alle sue spalle, poi a due davanti a lui. Il Sesto corse in avanti,
colpendo con forza il lucchetto della cassa in modo che saltasse. Il
contraccolpo la fece spalancare.
"Attacca!" urlò il Settimo.
Il negadonte si precipitò fuori dalla cassa e caricò Hurt. Quello
sussultò, alzò la pistola e lo colpì in mezzo alla fronte, poi si gettò a
terra, contro una parete, in modo che il mostro passasse senza investirlo. Il
negadonte uggiolò, sollevò il muso e cadde per terra.
"E quello da dove cazzo spunta?" chiese Hurt. Si voltò verso gli
ultimi membri della Sequenza, sollevò la pistola e premette il grilletto. Poi
ancora. Non successe niente.
"I dannati proiettili!" imprecò. Abbassò la Smith&Wesson
e guardò i due rimasti. Il Sesto fece per prendere la Colt Python, ma Hurt
scosse la testa.
"Non provarci neanche" ringhiò Daniel, ritto sulle zampe.
"Un movimento e ti azzanno alla gola".
Hurt lo guardò e sorrise. Chiuse gli occhi, soppesando la
Smith&Wesson nella mano sinistra. Non sapeva cosa fosse successo, ma capiva
di averla scampata per poco.
"Voi" disse, rivolto ai due che erano ancora in piedi. "Andatevene".
La sua espressione si fece dura, determinata. Era da anni che non si sentiva
così. "Tornate all'Alveare, dai Reges Mundi e dall'Antipapa e
da chi volete". Spalancò gli occhi, sollevò la pistola e sorrise.
"E dite loro che mi sono stancato di questo gioco a nascondino e che presto
calerò su di loro come la mano di Dio". Hurt premette il grilletto a vuoto
e cominciò a ridere.
Il Sesto e il Settimo sussultarono, poi il detective indicò loro la
porta con la canna della pistola. I due sembrarono felici di andarsene, aggirando
Daniel che continuava a seguirli con lo sguardo.
Hurt sospirò. Si tastò il soprabito alla ricerca delle sigarette, ma
si ricordò che la Sequenza gliele aveva tolte quando era stato perquisito. "Vaffanculo" disse.
"Se non ti spiace, capo, ora mi farei un pisolino" farfugliò
Daniel. "Sono un po' stanco".
"Permesso accordato" disse il detective.
Daniel si stese a terra e grugnì. Hurt lo guardò un attimo, si avvicinò
alla finestra e fece in tempo a vedere il Sesto e il Settimo precipitarsi fuori
dalla porta. Spalancò le inferriate e si sporse sulla strada.
"State pronti perché sto arrivando!" urlò, e la sua risata
li accompagnò nel buio.
Avrebbe messo fine alla storia dell'Alveare una volta per tutte, si
disse, osservando il suo fiato condensare al freddo della notte. Avrebbe dovuto
farlo già da molto tempo. Non sapeva perché, ma si sentiva carico di uno strano
potere... E aveva grandi progetti per il futuro.
WOW! :D Inizialmente mi ero rattristato per la fine del poveraccio Daniel, ma leggendo fino alla fine mi si è stampato un sorriso in faccia e non vedo l'ora di leggere gli ultimi due racconti di stagione! :D
RispondiEliminaGrazie caro! Vedrai che non rimarrai deluso. E sì, la morte di Daniel voleva ottenere proprio quell'effetto ;)
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