Tic toc, avanti
[di Federico
Bortot]
Hurt sorseggiava whiskey d'importazione nel suo ufficio vecchio e buio, quando all'improvviso fece irruzione un vecchio il cui volto era
solcato da una geografia di rughe e le cui mani abbronzate e tremanti non
smettevano un attimo di muoversi e gesticolare.
"J-Jack Hurt, la p-prego..." disse, con voce malferma,
"la prego, ho bisogno del suo aiuto".
Hurt fissò il liquore che gli riempiva per metà il bicchiere, fece
spallucce e lo trangugiò in un sorso. Saltò in piedi e scosse la testa per
darsi una svegliata, poi si rivolse al cliente.
"Jack Hurt in persona. Qual è il problema?"
Il vecchio gli strinse la mano e si presentò: si chiamava John
Goldman, orologiaio di professione.
"Vede, Hurt, circa un paio di mesi
fa mi è stato venduto un orologio a pendolo di epoca vittoriana. Il pezzo era
ancora in ottimo stato, senza guasti, eppure l'ho pagato soltanto un centinaio
di dollari". L'uomo lo guardò, abbassò le sopracciglia cespugliose e in
questo modo parve scusarsi. "Si trattava di un affare, perché
il suo giusto prezzo poteva essere dieci volte tanto.
"Dopo una pulizia e una lucidatina mi decisi a metterlo in
vendita per mille dollari. Tuttavia, malgrado il tempo passasse, nessuno si
faceva mai avanti per comprarlo, neppure dopo che dimezzai il prezzo. Così la
settimana scorsa ho ritirato l'offerta e l'ho appeso nel mio studio".
Goldman si zittì per un attimo e si passò la mano sulla fronte imperlata di
sudore. "Be', da quando quel dannato aggeggio ha varcato la soglia di casa mia
ha... iniziato ad assorbire tutto il mio tempo". Goldman si girò
leggermente sui tre quarti, si drizzò sulla schiena e ritrasse la pancia, e
sembrò insomma che cercasse di mostrare il suo profilo migliore. "Io ho
appena trentadue anni, signore" disse. "Eppure ogni giorno mi sveglio
invecchiato di anni e anni".
"Capisco". Hurt si accarezzò la barba. Non aveva
mai sentito parlare di nulla del genere, ma non c'era poi motivo di allarmarsi: probabilmente si trattava di una semplice maledizione.
"Non è sufficiente sbarazzarsi dell'orologio? Fermarlo, distruggerlo... buttarlo fuori dalla finestra?"
"Non è sufficiente sbarazzarsi dell'orologio? Fermarlo, distruggerlo... buttarlo fuori dalla finestra?"
"Ci ho provato" disse Goldman, sbattendo entrambe le mani
sulla scrivania. "Ho provato a staccarlo dal muro, ma sembrava come
incollato! L'ho persino preso a martellate, ma l'unico risultato è stato
che ho frantumato il martello. Non so più cosa fare".
Goldman parve aver finito la sua storia, e Hurt si sentì combattuto.
Non sapeva se seguire il suo nuovo, bizzarro cliente, o se versarsi un altro
bicchiere di whiskey. Non era molto bravo in questo genere di decisioni, così
optò per entrambe: con la mano destra agguantò la bottiglia e con la sinistra
estrasse dalla tasca le chiavi della Thunderbird.
"Su, signor Goldman, mi accompagni alla sua..." - un sorso al whiskey - "... dimora".
Una volta raggiunta la casa di Goldman, il detective non poté fare a
meno di chiedersi se non fosse meglio smetterla di bere oppure se non fosse
venuta l'ora di cambiare lavoro. Da qualunque punto di vista lo si guardasse, lo spettacolo che si trovava davanti non era incoraggiante.
Dalle pareti in muratura della casa si erano scrostati grossi pezzi
d'intonaco. I cardini dei serramenti erano arrugginiti, e dei vetri alle
finestre erano rimasti solo i pochi frammenti incastrati nel legno. Qua e là,
oltre le tende a brandelli, si intuivano forse carcasse di sedie, mobili
accatastati squartati e anneriti da tempo.
In questa desolazione solo una cosa sembrava al suo posto: l'orologio
a muro era intatto, il legno lucido, lo smalto delle decorazioni floreali
ancora brillante come se fosse uscito bel bello dalla bottega pochi minuti prima.
Malgrado quello spettacolo sembrasse parlare da sé, Hurt rimase
comunque in forse: non percepiva irritazione alla mano fantasma, persino dopo
essersi tolto il guanto e aver palpato i mobili. Si avvicinò all'orologio,
circospetto, ordinando al signor Goldman di aspettarlo sulla soglia o, meglio,
di scappare da qualche altra parte, possibilmente in un luogo sicuro. Dalla
scatola proveniva un ticchettio regolare: le lancette ruotavano, tanto veloci
da essere impercettibili alla vista, alimentate dagli ingranaggi del pendolo. Il detective provò ad arrestare il movimento del disco d'ottone con
una mano, ma il metallo urtò pesante contro le sue dita, scostandole senza
rallentare. Quindi passò a un altro approccio: caricò un pugno e lo indirizzò
poco più in basso del centro del quadrante, ma le nocche rimbalzarono contro il
vetro.
"Che diavolo...?"
Appoggiò entrambe le mani ai lati della cassa principale e si avvicinò
per studiare da vicino l'orologio. Scrutò dal basso verso l'alto, e intravide
gli ingranaggi che ruotavano; eppure ancora non rilevò tracce di magia, né di
folletti o di chissà cos'altro.
Solo allora notò che il disco d'ottone sembrava brillare di luce
propria, imprimendo sulla retina l'effetto di una scia dorata. Incantato da
quella gradazione di colore, Hurt cominciò a seguire i movimenti regolari del
pendolo: avanti, indietro, avanti... indietro... avan...
Si risvegliò con un senso di nausea, come se avesse appena finito di
percorrere una strada di montagna tutta curve. Si guardò attorno, ma era buio.
Tuttavia, una volta che i suoi occhi si furono abituati all'oscurità, notò che
al di là dei suoi piedi spesse inferiate, che correvano dal pavimento al
soffitto, lo dividevano da un corridoio avvolto dalle ombre... e capì di
essere in una cella.
Il pavimento era insolitamente freddo per essere di pietra e gli
sembrava che le pareti si muovessero. Un movimento quasi impercettibile
eppure persistente, come le lancette di un orologio. Preoccupato, Hurt si tastò
per controllare di non essere ferito: i pantaloni e la camicia erano strappati
in più punti, e non c'erano tracce della sua giacca e della sua fondina, ma
nonostante tutto pareva in buona salute. Si accorse di avere due spessi anelli
metallici stretti attorno ai polsi, non legati, e si chiese a cosa potessero servire. Batté
le nocche contro la superficie del pavimento e gli fece eco un suono
metallico.
In quel momento il soffitto cominciò a cigolare: un suono di catene
srotolate si diffuse nella cella e Hurt sentì una forza sconosciuta attirare i suoi polsi. Con un sonoro clang i due anelli si incastrarono
a un gancio magnetico. La catena cominciò a sollevarlo verso l'alto con alcuni
strattoni irregolari, e Hurt si limitò a contrarre i bicipiti per evitare di
prendere uno strappo.
Nel soffitto si aprì uno spiraglio che aumentò poco a poco di dimensione.
Accecato dall'improvvisa luce che lo inondava, il detective non poté fare altro
che strizzare le palpebre e chinare il volto.
All'improvviso i due anelli furono rilasciati e Hurt cadde per terra. La
luce intensa gli impediva di vedere bene, così tentò di schermarsi il
volto incrociando le braccia sul volto e socchiudendo le palpebre.
A poco a poco cominciò a distinguere qualche dettaglio. Si trovava in
una grossa stanza circolare, interamente ricoperta di pannelli metallici. Sopra
di lui la struttura si giungeva a una grossa cupola, con vetrate che
convergevano verso il suo centro. Sulla metà inferiore delle pareti spuntavano
ingranaggi, tutti differenti per forma e dimensione, pompe, valvole e pistoni
impegnati in un moto frenetico.
Infine, dritto davanti a lui Hurt intravide una struttura circolare
metallica, all'incirca di tre metri di diametro, all'interno della quale si
contorceva un globo infuocato. Notò che a guardia dell'oggetto c'erano due
soldati meccanici.
"Jack Hurt. È un piacere incontrare un essere umano, dopo tanto
tempo".
La voce proveniva dalle spalle di Hurt che, ancora mezzo accecato, pur
con qualche esitazione si voltò.
"Felice di sentirglielo dire".
"Sai, è da molto che un... organico non mette più piede nel
nostro mondo".
Il detective riuscì pian piano a distinguere la persona con cui stava
parlando. Anche egli sembrava fatto di metallo: il cranio cuprico, non molto
dissimile da quello di un uomo, non presentava traccia visibile di pelle, e
gli occhi dorati erano puntati su di lui con una tale intensità che sembrava
volessero trapassarlo. Sedeva su un trono, o almeno su quello che Hurt pensò
potesse essere un trono: in effetti era solo un assemblaggio di bielle, tubi, manopole e ingranaggi,
con lo schienale che si gonfiava e si restringeva ritmicamente, quasi stesse
respirando.
"Dove mi trovo, precisamente?" chiese Hurt, cercando di
mostrarsi più sicuro di quanto non fosse.
"Mi deludi".
Hurt dovette credergli sulla parola, perché non riusciva a decifrare le emozioni su quel volto robotico.
"Speravo che fossi più intelligente di così. Ma forse sei giunto qui solo per errore". Si guardò attorno e sollevò la mano a indicare con un gesto tutta la stanza. "Ti dò il benvenuto nel Clockworld, regno di cui sono il sovrano e il protettore. Io sono il Clockwork Keeper".
Hurt dovette credergli sulla parola, perché non riusciva a decifrare le emozioni su quel volto robotico.
"Speravo che fossi più intelligente di così. Ma forse sei giunto qui solo per errore". Si guardò attorno e sollevò la mano a indicare con un gesto tutta la stanza. "Ti dò il benvenuto nel Clockworld, regno di cui sono il sovrano e il protettore. Io sono il Clockwork Keeper".
Hurt si rimise in piedi e, dopo essersi dato una spolverata simbolica,
si inchinò al Keeper. "Be', devo ammetterlo: è stato un piacere
incontrarla". Si raddrizzò e lo guardò dritto negli occhi, nelle
periferiche ottiche cioè. "Come fa a conoscermi?"
Il Keeper abbozzò un sorriso e sporse la gigantesca mano robotica. La
aprì a scatti, quasi che le sue giunture non fossero ben oliate, e gli mostrò
la sua patente di guida.
Il detective spalancò le braccia e sorrise in segno di sconfitta.
Questo spiegava molte cose.
"Ora che abbiamo finito con i convenevoli potrei sapere perché
sono stato convocato in questo reame?"
Il regnante si sporse leggermente sul trono. "Mi spiace, Jack
Hurt, ma a quanto pare sei stato tu a introdurti nel mio mondo".
Il detective si grattò la testa. "Ah, è andata
così" disse. "Be', ma questo mondo cos'è, per l'esattezza?"
Uno sfiatatoio dietro il trono emise uno sbuffo e fece sobbalzare
Hurt. "Qui nel Clockworld non facciamo che creare il tempo" disse il
Keeper, in tono didattico, "quella materia indefinibile di cui sono
composti gli uomini. O, meglio, lo estraiamo da alcune riserve particolarmente
redditizie, lo lavoriamo, lo raffiniamo e in seguito lo esportiamo sui mondi
che ne fanno richiesta. Per questo abbiamo bisogno di alcune miniere che ci
aiutino nell'estrazione: nel vostro mondo, la Terra, questa funzione è svolta
dai cosiddetti orologi. Sono nel
giusto?"
Il detective si strinse nelle spalle e il Keeper andò avanti con la
sua spiegazione. "Temo per te che ti sia imbattuto in un portale residuo. Dopo l'ultima incursione della vostra specie mi ero
premurato di eliminarli tutti, benché fossero potenti sorgenti di tempo.
"Vedi, Jack Hurt" aggiunse, in tono più severo,
"qui io ho creato una società perfettamente funzionante... non ho bisogno
di imporre l'ordine perché i miei sudditi si comportano come gli ingranaggi di
una macchina. Questo equilibrio, però, come ogni altro meccanismo, si regge su
una serie di delicate dinamiche che possono essere sconvolte da eventi esogeni.
Eventi... organici".
Hurt socchiuse gli occhi e finalmente riuscì a mettere a fuoco il suo
interlocutore. Notò che la sua mandibola non si muoveva, e che le parole
suonavano come diffuse nelle stanza da altoparlanti nascosti.
"Per questo, Jack Hurt", concluse il Keeper, "mi vedo
costretto a sbarazzarmi di te". Appoggiò un gomito su un bracciolo e si
prese la pesante testa nella mano. Sollevò il petto d'acciaio e lo riabbassò,
teatralmente, come se stesse sospirando. "Certo, potrei rispedirti nel tuo
mondo; ma così si potrebbe diffondere la notizia dell'esistenza del mio reame,
e questo..." Lasciò cadere la frase, senza preoccuparsi delle sue
implicazioni.
"Le posso garantire che non aprirò bocca..." provò a dire
Hurt, ma "Non interrompermi!" urlò il Keeper. Si sollevò in piedi e
lo sovrastò di quasi due metri. La sua muscolatura d'acciaio brillava sotto il
manto regale, e Hurt sentì il sudore colargli gelido lungo la schiena.
"Non posso più correre rischi, signor Jack Hurt. Fui fin troppo clemente
in passato, e allora una delle vostre bestie quasi distrusse le mie raffinerie
e..."
Hurt lasciò che il Keeper continuasse a parlare, ma smise di
ascoltarlo. Decise che si trovava finalmente nei guai e cominciò il processo di
smaterializzazione della mano fantasma. "A me non interessano i suoi
problemi" disse. "Io sono intenzionato a..." Si interruppe
mentre, con alcuni strattoni, cercava di estrarre la mano dalla manetta.
"A... a svignarmela... se solo..."
Hurt si controllò la mano, e notò che era tornata del tutto materiale,
senza traccia di sostanze fantasma al suo interno. La fissò, sorpreso e
preoccupato al tempo stesso.
Il sovrano scoppiò in una fragorosa risata, ma quando parlò la sua
voce aveva l'accento di una condanna a morte. "Jack Hurt, in questo mondo
non esiste la magia. Non una che tu possa capire".
Hurt non ebbe il tempo di stupirsi che si sentì agguantare per le
braccia e trascinare via da due guardie.
"Saluti, signore" lo congedò il Keeper.
Il detective capì che avrebbe dovuto sbrigarsi ad elaborare un piano, se voleva cavarsi d'impiccio.
Si guardò intorno mentre veniva portato via, ma non vide nulla che potesse
aiutarlo, quindi si concentrò sui due energumeni: ognuno dei loro arti pareva
robusto e non mostrava segni di ingranaggi o meccanismi da manomettere. Quando
alzò lo sguardo sulla loro schiena, però, notò come una piccola caldaia: uno
sfiatatoio espelleva il vapore e i gas prodotti dalla combustione. Bingo! pensò.
Con le gambe si diede una spinta e fece una capriola, sorretto dalle
braccia dei suoi aguzzini, poi colpì con un calcio la caldaia della guardia che
lo teneva per il braccio sinistro, atterrò e, prima che l'altro potesse
reagire, assestò una ginocchiata al suo sfiatatoio.
L'umanoide arrestò la sua locomozione e cominciò a vibrare. Il suo
compagno, colto alla sprovvista, mollò la presa su Hurt, che con una corsa
raggiunse la bolla di fuoco: quello che, in quel mondo alieno, gli pareva
simile a un portale dimensionale.
La prima guardia si accasciò a terra mentre la sua caldaia si
gonfiava, pronta a esplodere; ma la seconda si lanciò al suo inseguimento e si
avventò su di lui prima che varcasse la soglia. Hurt scartò di lato; il suo
aggressore, destabilizzato, perse l'equilibrio e cadde per terra. Assestò un
paio di gomitate al suo tubo di sfiato finché non gli parve che fosse
completamente otturato.
"HURT!" sentì allora che il Keeper urlava, ma non ci fece
caso e si gettò nel portale...
Il detective rotolò sul pavimento marcescente dell'ufficio del signor
Goldman appena pochi secondi prima che l'orologio esplodesse in una nuvola
cremisi.
"Signor Goldman?" chiamò, titubante.
Nessuno rispose, così Hurt, dopo un istante, si decise a uscire
dall'appartamento. La porta era chiusa a chiave; comunque, ora che aveva di nuovo
la sua magia, nessuna serratura poteva fermarlo.
Scese di corsa le scale e una volta in strada cercò la sua macchina.
"Maledizione!" imprecò. Le chiavi erano rimaste nella tasca
della giacca.
Per distrarsi si tastò i pantaloni alla ricerca di una sigaretta, ma
trovò solo un vecchio pacchetto di fiammiferi vuoto. Lo prese con l'intenzione di buttarlo
via; ma all'improvviso lo lasciò cadere. Sollevò la mano e
la avvicinò al viso per studiarla meglio.
Gli era parsa spellata e rugosa, ma non aveva fatto in
tempo a pensare che il Clockworld gli avesse rubato del tempo che l'illusione
era fortunatamente svanita. Sospirò, mise la mano in tasca e, con uno sguardo sospettoso
alla vecchia casa, si incamminò verso la fermata dell'autobus.
...
"Non proprio il genere di merce che siamo soliti trattare"
sottolineò il Clockwork Keeper con quella sua voce rimbombante.
Erano passati alcuni giorni dalla fuga di Hurt, ma sul Clockworld il
tempo scorre diversamente. Nessuno poteva dire quanto tempo gli automi avessero
rimuginato sulla loro sconfitta, aumentando il proprio rancore nei confronti di
Hurt. Nessuno, tranne quelle persone che contavano di sfruttare la rabbia a
proprio vantaggio.
Il Quarto sbatté le claquettes delle scarpe e sorrise malignamente.
Sotto l'ascella portava un costrutto di magia che era estranea a quel reame, ed
estranea anche al suo mondo: una scacchiera di legno a forma di pentagono.
"Tuttavia questo è il genere di merce a cui siamo interessati".
"Tuttavia questo è il genere di merce a cui siamo interessati".
Il Keeper annuì, lentamente, come se avesse il dubbio di aver fatto male
ad accettare la proposta degli organici. Niente di buono veniva da loro,
pensò. Tuttavia il danno era fatto; e, in fondo, lui e l'Alveare avevano un
nemico in comune.
Abbassò una leva del suo trono con forza, per impedire che si
inceppasse. Una valvola sulla parete fischiò e sembrò stesse per saltare. Con
un suono di ingranaggi arrugginiti la porta dall'altro lato della stanza si
sollevò. Appena l'entrata fu libera un centopiedi metallico, con le zampe d'acciaio
e il carapace in titanio, scivolò dentro muovendo le appendici. Sul
dorso portava una gabbia di metallo chiusa sui tre lati.
Il centopiedi si arrestò davanti al Quarto e, scrollando le numerose
giunture, appoggiò il ventre al suolo e si spense.
"Lì c'è quello che avete chiesto" disse il Keeper, indicando
con un cenno la gabbia.
Il Quarto fece un passo avanti per vedere meglio. Acquattata sul
fondo, sedata, una grossa massa scura ronfava in un sonno primordiale.
"Lo avrei ucciso anni fa, se i Mastri Ingegneri non ci avessero
avvertito che era importante".
"È l'ultimo della sua specie" disse il Quarto in un
sussurro. Alzò gli occhi sul Keeper e, di nuovo, gli sorrise. "Possiamo
considerare le nostre trattative concluse, allora, Signore di Clockworld. Appena potremo le daremo notizia del suo pagamento".
Il Keeper sussultò e strinse con rabbia le
mani attorno ai braccioli, fino a piegarli e ad affondare le dita negli
ingranaggi. "Appena avrete la testa di Hurt " disse.
Il Quarto non rispose. Si esibì in un mezzo inchino e si incamminò
verso il portale.
Hype
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