Da dove nasce un'idea? (e soprattutto:
cos'è Jack Hurt?)
[Editoriale a cura di Stefano Mazzoni]
Ricordo il momento in cui ebbi l'idea di Jack Hurt come fosse ieri. Fu dieci anni fa. Quindi mettetevi comodi, perché questo lungo
patchwork di ricordi sarà un piacere per me da scrivere e altrettanto, spero, per voi da
leggere.
Il mio primo tentativo di romanzo fu un fantasy, poi una storia di
pirati, poi un noir. Non ricordo molto di quest'ultimo, tranne il canovaccio
e una scena fantastica in cui il protagonista, un ladro trasformista, si guardava
allo specchio e dopo un lungo momento di introspezione si chiedeva chi fosse in
realtà. Che l'avevano già usato una ventina di volte, ma per un ragazzo
di dodici anni, credetemi, son soddisfazioni.
Il romanzo in sé avrebbe dovuto parlare di due ladri, maschio e
femmina, destinati a battersi e infine a innamorarsi, assoldati da due ricche
famiglie per recuperare un libro misterioso dagli strani poteri. Questa idea era nata unendo quella della vecchia serie Il Santo, di cui avevano realizzato
una versione cinematografica con Val Kilmer, con quella de La Nona Porta di Roman Polański. Ecco, qui sta la risposta alla domanda "da dove è nata
l'idea di Jack Hurt?" Dallo scontro di altre idee, solitamente migliori della
mia.
Quel primo romanzo fu accantonato quasi subito. Negli anni successivi
mi accaddero un certo numero di cose, come credo capiti spesso quando si parla
di cose, e l'idea del romanzo fu ripresa e peggiorata. Non si trattava più di
ladri rivali, ma di una coppia di detective appena minorenni, misteriosamente
esentati dalla scuola dell'obbligo, e incaricati di trovare lo stesso libro di
cui sopra. A dire il vero era pieno di vampiri: accadde prima che fossero di moda.
La colpa di questo tentativo di narrazione è di certo da attribuirsi a
Buffy l'Ammazzavampiri, il capolavoro di Joss Whedon. Sì, lo so che voi hipster
credete che Buffy sia un telefilm da ragazzine, qualcosa come i suoi epigoni
Streghe o Smallville; ma, credetemi, vi sbagliate: Buffy è un
telefilm brillante, ricco di battute, colpi di scena e personaggi a tutto
tondo. La trama della seconda stagione rimane il punto più alto della storia
delle serie televisive, a mio parere[1]. Il problema è che la
guardavamo quando non potevamo capirla, da bambini. Quindi andate a ripescarla,
invece di iniziare l'ultima serie di
J.J. Abrams, che tanto è il solito nulla cosmico; vedetevela fino alla quinta
stagione e cercate di smetterla di fare gli stronzi. In lingua originale, che
davvero il doppiaggio fu realizzato malamente, cambiando le battute che
comunque non coincidevano col labiale. Da rimanere imbambolati.
Il secondo romanzo, comunque, quello di cui stavamo discutendo prima
che io partissi a parlarvi dei fatti miei, lo scrissi quando avevo quindici
anni, e me lo portai dietro fin verso i diciassette, correggendolo,
ampliandolo, obbligando i miei amici a dirmi quanto fosse brutto - cosa che
loro furono ben lieti di fare , tra l'altro (grazie, ragazzi).
Alla fine, fortunatamente, lo abbandonai.
Dallo scheletro del progetto nacquero però tre virgulti. Uno, la
sceneggiatura di un fumetto (il cui nome, per quello che riesco a ricordare,
era Hellgate), naufragò velocemente per incomprensioni con la disegnatrice, che
tra l'altro è emigrata in Giappone e che saluto. L'altro, un racconto
autoconclusivo di stampo lovecraftiano[2], mi ha portato a
sviluppare quel poco di doti narrative che possiedo.
Negli anni seguenti la mia passione per il fumetto occidentale e per i
telefilm è cresciuta in maniera esponenziale (insieme al mio successo con le
ragazze, devo dire). Ebbro di tutti i Gaiman e i Moore e i Morrison e gli
Whedon che potevo desiderare, con ben più di una spruzzatina di Garth Ennis e
Jamie Delano e le repliche di Moonlighting[3] mandate a memoria, un giorno incappai nella seconda più grande serie televisiva di
tutti i tempi: Doctor Who. E non parlo di quella cosa scialba e malscritta
che è diventata sotto la gestione di Moffat, ma di quello che era Doctor Who
all'alba della nuova serie, con Cristopher Eccleston nel ruolo del Nono Dottore
e Russel T. Davis come sceneggiatore capo. Poi venne David Tennat e la migliore
interpretazione del Dottore di sempre, o almeno dopo Tom Baker: il Decimo, che
ha coperto tre stagioni e una serie di speciali e che, con la sua rigenerazione
in Matt Smith, ha spezzato il cuore di tutti i fan.
(Forse sono un nostalgico.)
(Forse sono un nostalgico.)
Per accorciare la storia, quindi, alla fine della settima stagione di DW (per
inciso, quando viene introdotto il personaggio del War Doctor, interpretato da
John Hurt), proprio mentre stavo rileggendo le ristampe della Doom Patrol di
Morrison, mi venne l'idea di Jack Hurt.
A dire il vero l'incontro tra DW, il mai abbastanza elogiato Hellboy
di Mignola, Morrison - in particolare il suo Animal Man - e i miei vecchi
progetti, mi aveva già ispirato la serie di racconti dell'antesignano di Jack,
il Professor Tempesta. Alieni, vampiri, vampiri alieni, Agarthi, demoni-rospo,
Shamballa, viaggi nel tempo con zombie nazisti, metanarrazioni di
metanarrazioni sono tutti motivi per cui il Professor Tempesta è stato messo da
parte. Venne naturale, a quel punto, dopo la mia profonda delusione e la
perdita di fiducia nelle mie capacità di narratore, cercare di alzare il tiro.
Perché non infilare nel progetto maggiori citazioni? Perché non
trasformarlo in una prosa che strizzasse l'occhio sia al fumetto che al
telefilm, i miei primi amori ricambiati, anche se alla fine Pacey non risponde
mai alle mie chiamate? Perché non renderlo addirittura seriale, proprio come lo
sono le sue fonti d'ispirazione? Un telefilm cartaceo, insomma. Che una volta
si chiamava romanzo a puntate, o d'appendice, ma noi siamo ggiovani e di queste cose non sappiamo nulla.
Il nume tutelare e principale scrittore del genere è Charles Dickens -
Dio lo abbia in gloria -; ma io volevo rifarmi a un altro genere di appendice,
la letteratura pulp: i romanzi di Chandler e le loro controparti
cinematografiche, Humphrey Bogart, gli Amazing Stories e le Weird Tales, i
primi fumetti con gli investigatori dell'occulto Straniero Fantasma e Dottor
Occult... Quindi feci quello che sono più bravo a fare: feci scontrare idee che
altri avevano avuto, a loro volta riciclando idee preesistenti[4], e il risultato è stato proprio Jack
Hurt.
Una sera dello scorso anno, dopo aver elaborato i primi tre racconti
(che voi vedrete in questa serie, ma in un ordine diverso), contattai Marco
Redaelli, delle cui abilità narrative avrete prova già tra un paio di episodi,
e gli esposi la mia idea. Dopo i più che giustificati dubbi iniziali, Marco accettò
di collaborare al mio progetto con l'entusiasmo di un lemming alla migrazione.
In passato avevamo già lavorato assieme a una raccolta di racconti
gialli e a una saga fantascientifica che però non videro mai la luce, principalmente
perché non avevamo idea di come renderle. Per me fu quindi naturale chiedere
il suo aiuto: se quel giorno mi avesse detto di no, avrei probabilmente abbandonato il
progetto. Ringraziamolo!
Col tempo a noi si sono affiancati altri scrittori: Sara Bardi,
Federico Bortot e soprattutto Riccardo "Riccardone" "Grande
Satana" Calandra, che figura come autore ospite ma che in realtà è stato
essenziale come il caffè al nostro processo creativo.
La prima stagione di Jack Hurt si compone di quindici episodi più un
pilota, ed è più o meno tutto quello che dovete sapere per ora. Se il feedback che
riceveremo sarà positivo, sarà messa in cantiere anche una seconda stagione...
Quindi sotto, coi feedback positivi!
Nei prossimi editoriali io e gli altri scrittori ci alterneremo con
articoli di approfondimento, di discussione, e del perché sia sempre e comunque una cattiva idea
accettare un progetto in cui figuro io come coordinatore. Questo per darvi una
visione il più possibile completa di Jack e del suo mondo, e insomma per
massimizzare il vostro godimento di lettori.
Per rispondere alla domanda iniziale, quindi, che comunque nessuno mi
ha mai posto, "Da dove viene l'idea per Jack Hurt"... dallo scontro
di idee migliori delle mie, da un romanzo che iniziai quando avevo dodici anni
e dalla nostalgia dell'ultimo anno di università, che mi porta a cercar di
realizzare i sogni che avevo da ragazzo. Scrivendo racconti che solo a un ragazzo,
forse, potrebbero piacere.
[1] Sì, spero che la Mutant
Enemy mi paghi per la pubblicità che le sto facendo.
[2] Tutti ne
abbiamo scritti almeno due o tre, nella nostra vita: è una tappa obbligata per
uno scrittore, come il primo bacio o la prima denuncia per atti osceni in luogo
pubblico.
[3] Da non confondere con
Moonlight, curioso incrocio tra il ciclo di Twilight e l'Angel della premiata
coppia Whedon/ Greenwalt. Il Moonlighting in questione - conosciuto in Italia
anche col titolo Agenzia Blue Moon - era una scoppiettante comedy drama ad
ambientazione poliziesca, con un giovanissimo Bruce Willis e un'incantevole
Cybil Shepherd a farla da mattatori. Imprescindibile per tutti gli intenditori.
[4] Nessuno ha più un'idea
originale dal 408 d.C. Parafrasando William Morris, è il contributo del singolo autore
a un soggetto l'unica originalità possibile. Questa può essere definita un'estetica: la sensibilità per fondere generi tanto diversi
senza snaturarli è già arte.
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